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Nel 2006 invitai a Cerignola Peppe Barra, per una delle serate della rassegna “Leggere la fatica di leggere”, uno dei progetti a cui sono più legato. Le location erano luoghi del lavoro (aziende olivicole, frantoi, stabilimenti enologici, tipografie), in cui facevo incontrare letteratura, musica, immagini, cultura del cibo e prodotti dell’agricoltura. L’iniziativa – nell’ambito delle attività del Progetto Casa Di Vittorio – era parte del programma nazionale “Ottobre piovono libri. I luoghi della lettura”, promosso dall’Istituto per il Libro e dal Mibac. Quella sera, 23 ottobre, eravamo ospiti dell’Azienda “La bella di Cerignola” presso Santo Stefano e la musica di Umberto Sangiovanni accompagnava le letture. Peppe Barra lesse testi su Di Vittorio e Matteo Salvatore (di cui qui si stralciano solo dei frammenti), recitando, in chiusura, la fiaba “La vecchia scortecata” dal capolavoro “Lo Cunto de li Cunti” (o Pentamerone) di Giovan Battista Basile.
Le letture si intrecciano ai suoi ricordi d’infanzia, a riflessioni sulla cultura, sul cibo, sulla povertà e sul valore della memoria. 

In scena, Peppe Barra
(Umberto Sangiovanni pianoforte, Alfredo Ricciardi percussioni)

Prima di leggervi le belle pagine che ho davanti, volevo dirvi che tutto il mio essere, quello che sono adesso, lo devo agli anni della mia fanciullezza e adolescenza. Perché quelli sono gli anni che mi hanno formato: gli anni ’50. Sono stati importanti, per me. Perché negli anni ’50 si viveva ancora nel retaggio dell’Ottocento. Anni pieni di racconti che ho avuto il privilegio di sentire, ascoltare, con lo stupore del bambino.

Voi sapete che sono figlio d’arte. Mia madre, Concetta, e tutta la mia famiglia, era nel teatro. Ma tutto quello che sono lo devo anche a un’isola, un’isola incantata: l’isola di Procida negli anni ’50. Procida mi ha dato quello che poi ho avuto da grande, dalla Puglia e dalla Campania. Ho più amici in Puglia che a Napoli. La mia seconda patria è proprio la Puglia, perché ci accomunano tante cose.  A parte storicamente, come sappiamo, il Regno delle Due Sicilie, ma ci accomuna anche la grande cultura che c’è in Puglia e la grande cultura che c’è a Napoli.

Perché amo la Puglia? Innanzitutto perché siamo cugini, parenti di sangue, ma anche perché se mange tanto bene, in Puglia. Se mange assaje, proprio bene bene! Ora, io giro il mondo e vado all’estero, in America del sud e del nord, Francia, Belgio, Svezia, Finlandia, uuuh! E faccio spesso il paragone e penso che noi di cultura ne abbiamo tanta, tanta. Perché anche la cucina è cultura. E qui, in queste pagine che mi hanno proposto di leggere, una delle prime cose che noto è: “la favetta”. Ecco, io l’adoro la favetta, la fava. Pensate che mamma ‘a chiammava comm’a vvuje: ‘a favett’. Che se mange oggi? Se mange favett’, mammà. Ecco, nu juorne, ddu juorne, tre juorne, sembe favett’. Anche noi, come voi, sembe favett’.

Ora leggo, ma devo mettere gli occhiali, perché c’ho una certa età. Togliamo “certa”, c’ho l’età.

I ricordi dell’infanzia di Peppino nelle parole di Felice Chilanti:

…il padre di Di Vittorio, nell’intento di salvare il bestiame del padrone, si trascinò per la notte intera attraverso la zona allagata… poi cadde ammalato e morì nel mese di marzo… in casa non vi era nulla da mangiare, la mamma di Giuseppe Di Vittorio prese per mano il ragazzo e lo condusse dal padrone… trovarono buone parole e una magra ricompensa: dieci chili di favetta… ci si poteva sfamare per qualche giorno e per qualche giorno ancora il bimbo poté frequentare la scuola… i dieci chili di favetta finirono. La madre aveva cominciato a lavare i panni alla fontana, ma il guadagno era irrisorio: così per la seconda volta prese il figlio per mano e lo condusse dal padrone… il padrone le donò qualche altro chilo di favetta. Il bimbo frequentò così la scuola ancora per una settimana. La terza volta, quando il padrone si rivide davanti i due con la bisaccia e lo sguardo implorante, disse Adesso basta. E fu una nera giornata… a sette anni di età dunque Giuseppe Di Vittorio cominciò a guadagnarsi il pane.

Di Vittorio ricorda “Il distacco dalla scuola fu una grande amarezza. Amavo molto la lettura e ogni pagina di libro era come una rivelazione per me. Avevo sete di quelle rivelazioni.

Pensate, Giuseppe Di Vittorio aveva sete: sete di leggere.
E mò? In questo periodo, chi legge? Le librerie stanno fallendo. I più giovani non leggono più, tranne qualcuno, tranne pochi. Perché hanno il computer, hanno internet. Invece questo io dico sempre: che cosa c’è di più bello di un libro! Dove puoi volare con l’immaginazione, col fantastico, con l’immaginario. Ecco, il computer è una cosa utile, una cosa molto utile, bella, interessante. Io nonn’o sacce fa’, nonn’o tenghe, a’ case. Ne ho uno, ma è rotto, l’ho rotto proprio io – vedi l’inconscio -, perché non lo sapevo usare. Però è utile, per carità! A faccia mia sott’i pieri ro computer! Però, dite la verità: una giornata di pioggia, una bella poltrona, la pioggia che batte sui vetri… e un bel libro. Dicit’a verità, che meraviglia!

E questo, Giuseppe Di Vittorio l’aveva capito. E aveva assaporato questi momenti, che purtroppo gli furono negati. Vedete com’è, l’ingiustizia. A Giuseppe Di Vittorio, che aveva fame di apprendere, questa cosa veniva negata.
In quegli anni – voi sapete che la Puglia era povera, ma anche ricca -, i ricchi approfittavano, come sempre, del povero. I pescecani mangiavano i pesci più piccoli.

C’è una bellissima canzone di Matteo Salvatore, “Don Nicola”. Stasera ve la propongo così come la racconta Matteo, letteralmente, come una piccola novella:

Don Nicola ricco latifondista venne nella piazza dove giocavano i bambini di 12-13 anni, col mantello a ruota, alto, avaro, crudele e cattivo. Aveva con lui due guardie del corpo col fucile a tracolla: gli sceriffi del tavoliere. Don Nicola mandò a cambiare 100 soldi dai suoi guardaspalle, si mise i soldi in una mano e disse ai ragazzi: Bambini, uagliù, oggi è la mia festa e devo buttare questi soldi a pioggia. Però voglio vedere la sfida, cume ve fraccàte, cume v’ammùntunate. Non credevamo ai nostri occhi. E don Nicola disse: Chi prende più soldi va a comprare più pane. E noi dicevamo, Don Nicola veramente devi buttare i soldi? Prima di buttare i soldi disse due parole rizzate come ferro spinato: Sì, bambini rachitici di eterno abbandono! Buttò i soldi a pioggia. Noi ragazzi non eravamo più compagnucci vicini di casa, ma leoni! Ci sfregiavamo, ci mozzicavamo, a chi prendeva più soldi. Calci, pugni, cazzotti. E don Nicola incitava: Prendete, prendete uagliù! Alla fine, quando vide il sangue dei ragazzini per terra, don Nicola se ne tornò al suo palazzo.

Queste letture mi hanno veramente emozionato e commosso, perché tutto questo io lo vivevo, lo vivevamo, quando ero bambino. Allora ero lontano dalla Puglia, ero a Napoli: la Napoli dei Quartieri Spagnoli, con gli scugnizzi che all’epoca magnavane i cornicioni! Lo ricordo, perché mio padre mi portava proprio lì per insegnarmi delle cose. Diceva: “Peppì, se tu non vai a’ scola e non impari qualcosa, guarda che fine fai”: questi scugnizzi, che non potevano andare a scuola, mangiavano i cornicioni di pizza. Era la cosa più degradante per un bambino: mangiare i cornicioni di pizza che quelli – i privilegiati che potevano mangiare la pizza, in quegli anni di fame, i primi del dopoguerra -, buttavano per elemosina… il cornicione che non ge’a facevano a magnà! E chelle povere criature, sott’a o tavolo, li raccoglievano.

È vero, queste cose non mi meravigliano, nelle pagine che ho letto. Dico sempre che queste iniziative andrebbero fatte più spesso. Perché i giovani, soprattutto i giovani, hanno il privilegio di vivere in un mondo di relativo benessere, ma che spiritualmente gli nega tante cose. Vivono nel benessere ma senza aver vissuto dei ricordi, senza avere dei modelli, punti di riferimento.

Ed è importante passare una serata così, piena di ricordi, anche di tristezza, che ci fa toccare con mano realtà importanti, che io ho potuto leggere, ma che già, ahimè, conoscevo e mi hanno riportato alla mente tantissimi ricordi brutti, però, vi assicuro, anche molto belli. Ricordi malinconici, ma ricordi veri.

Questa non è solo una serata di ricordi, per ricordare un grande personaggio come Giuseppe Di Vittorio, è anche una serata di cultura, di grande cultura. Abbiamo sentito cose che andavano e vanno dette.

NOTA
Letture tratte da: Felice Chilanti, Vita di Giuseppe Di Vittorio, pubblicato a puntate su “Lavoro”, settimanale CGIL, 1952; Matteo Salvatore, La luna aggira il mondo e voi dormite, a cura di Angelo Cavallo, Stampa Alternativa, 2002.