Mamma, quando viene Di Vittorio? Adesso viene. E che porta Di Vittorio? Ci porta il pane!

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Un racconto corale nelle voci degli uomini e delle donne della rivoluzionaria Comunità del Sacro Cuore di Lavello guidata, alla fine degli anni ’70, da don Marco Bisceglia (*)

Di Vittorio ha sofferto come abbiamo sofferto noi.
Questo era Di Vittorio, era famoso Di Vittorio, era un cerignolano, un rivoluzionario, un uomo che faceva valere i diritti, dovunque. L’abbiamo conosciuto sin da quando, ragazzo, lavorava nei campi del Tavoliere.
Poi scoppiò il fascismo e sentimmo dire che lo avevano messo in galera, lui, Gramsci e tutti gli altri. Dopo la guerra, era il ’43, lui è risorto.
Eravamo stanchi del fascismo, stanchi della miseria, stanchi della fame e tutto il popolo è insorto, tutto il popolo italiano. E Di Vittorio e gli altri cominciarono a fare comizi girando per i paesi.
Un giorno Di Vittorio doveva venire a Lavello. Fu nel 1945, o forse nel 1948.
Quella sera tutti lo aspettavamo: ora viene ora non viene, ora viene ora non viene.
Noi qui a Lavello, volevamo conoscerlo Di Vittorio, eravamo ansiosi di conoscerlo! E quel giorno dissero che sarebbe arrivato. Ma ora dicevano che arrivava alle cinque del pomeriggio, ora dicevano che arrivava alle sei, arrivarono le otto…
Sul palco, in attesa di Di Vittorio, c’era Alberto Jacoviello, nostro concittadino scrittore e giornalista, che ci intratteneva per far passare il tempo ed era anche lui ansioso del suo arrivo. Vedeva che la gente era stanca e così improvvisò un dialogo a una sola voce, con domande e risposte, per tenerci svegli.
Era tempo di raccolto, era giugno, si mietevano le fave, eravamo tutti davvero stanchi. La piazza era gremita, donne uomini bambini, tutti stesi per terra.
Io avevo sei bambini, anche loro stesi a terra come tutti nella grande piazza. Dormivano, ma noi aspettammo Giuseppe Di Vittorio fin quando arrivò.
Si dormiva, ma rimanevamo lì, non si cedeva. Uno disse, Ormai non viene più, lui non viene più!
e la polizia voleva sgomberare la piazza.
Si fece l’una, poi le due e mezza, poi le tre della notte. Alcuni gli erano andati incontro, sulla strada verso Andria, per accompagnarlo e scortarlo.
Nella piazza la folla attendeva.
Poi lo videro arrivare: Di Vittorio, accompagnato come sempre dalla moglie Anita. Entrò nella piazza, era notte fonda, e vide tutta quella gente stesa per terra o seduta sui marciapiedi.
Tutte le creature, i bambini stesi in mezzo alla piazza, per terra, ancora dormivano, ma nessuno di noi si era mosso nell’attesa di Di Vittorio.
Udimmo la sua voce, le sue prime parole: Qui c’è tanta gente che mi conosce. Venivo a lavorare qui nelle campagne qui vicino, con tanti di voi che siete qui a combattere. Sono andato anche a fare il manovale nella vicina Rapolla e ricorderò sempre chi mi ha soccorso, chi mi ha dato un pezzo di pane per sfamarmi. E sicuramente sarà tra voi, qui in questo popolo. Spesso mi rimproveravano da ragazzo, quando mi mettevo a leggere la sera tardi, dopo il lavoro. Leggevo sempre, sempre, era una passione quella dei libri, mentre gli altri compagni, affaticati, riposavano.
Queste furono le prime parole che disse quella notte. Era quella la cosa importante: parlava in modo che la gente veramente lo capisse. Non come altri politici che sembrano voler parlare proprio complicato, i vari della DC, che sembrano fare apposta, così nessuno capisce cosa vogliono dire.
Ma la storia di quella serata, qui, diventa anche un po’ violenta.
La gente, prima dell’arrivo di Di Vittorio, rumoreggiava. Tutti rivendicavano e gridavano la loro rabbia per le condizioni di sfruttamento nelle campagne. Quella notte volevano passare ai fatti!
Intorno alla folla, polizia, carabinieri, pronti a intervenire. Non si capiva niente!
E noi gridavamo: Quando la faremo finita?! Quando spezzeremo queste catene?! Abbiamo ancora tante sorelle digiune, all’estero, fuori terre, siamo tutti digiuni! E la borghesia continua a calpestarci! Quando la faremo finita questa storia?! Mai?!
Ma già nell’attesa di Di Vittorio ci veniva una gioia, non so cosa ci aspettavamo dal suo arrivo.
I bambini piccoli chiedevano alle madri: “Mamma quando viene Di Vittorio?” e la mamma diceva “Adesso viene”, “E che porta Di Vittorio?”, “Ci porta il pane!”.
Lui calmò tutti dicendo poche parole: Compagni! Mi commuovo a vedere tanta gente, tante povere donne e uomini qui in questa piazza, di notte. Siamo sul punto di lottare, e lotteremo! Ma noi non siamo fascisti, siamo socialisti. Noi non vogliamo uccidere nessuno. Voi non dovete uccidere. Siamo democratici, siamo gente che lavora, vogliamo lavorare, vogliamo la terra, vogliamo un nuovo assetto sociale, vogliamo un assetto socialista. Ora andate a dormire, andate a riposare un po’, perché domani dovete andare a lavorare.
La gente non si muoveva, gridava.
Basta, buonanotte, andate a dormire.
Non voleva che si passasse ai fatti, la gente era arrabbiata contro i padroni e gridava, Abbasso la Democrazia, abbasso la falsa Democrazia!
E lui: No, abbasso nessuno. Perché nella stessa Democrazia Cristiana ci sono i compagni vostri che per ignoranza si sono fatti imbavagliare, ma richiedono le stesse cose che richiedete voi. Noi vogliamo la rivendicazione sociale, abbiamo tutti il diritto di vivere, ma non dovete ammazzare. Ora andate a riposare, perché fra poco dovete andare a lavorare.
Questo disse. Erano le due o le tre della notte. E noi lo abbiamo messo a ricordo.
Avete registrato bene?

Marco Bisceglia

(*) Trascrizione e rielaborazione dei frammenti dei numerosi interventi registrati dagli anziani, uomini e donne, durante l’incontro tenuto a Lavello presso la Comunità del Sacro Cuore il 4 gennaio 1976 (organizzato, su invito di don Marco Bisceglia, da Giovanni Rinaldi, Paola Sobrero e Alberto Vasciaveo)

Il 9 maggio del 1975 don Marco Bisceglia, già da anni leader delle comunità di base cattoliche seguaci della teologia della liberazione, veniva sospeso a divinis per aver benedetto un ‘matrimonio tra omosessuali’ (in realtà un tranello di due giornalisti de “Il Borghese”; il 25 aprile 1978 don Marco celebra la sua ultima messa tra poche vecchiette, alla presenza di carabinieri e poliziotti; il 25 ottobre 1978 Lavello si sveglia assediata dai carabinieri e il tempio del Sacro Cuore viene occupato dalla polizia in assetto di guerra; nel 1980 Marco Bisceglia, con Nichi Vendola, fonda ‘informalmente’ a Palermo il primo Circolo ArciGay; muore di Aids il 22 luglio 2001 dopo essersi riconciliato con la Chiesa che aveva combattuto.