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carri allegorici, cavalcata degli angeli, feste popolari, pellegrinaggio, quadri viventi, ritualità popolare, San Michele Arcangelo, Santuario Incoronata, teatro di strada, teatro popolare
SANTI STRASS E CHIFFON. La “Cavalcata degli Angeli” all’Incoronata di Foggia
di PAOLA SOBRERO
fotografie di GIOVANNI RINALDI
All’Incoronata è festa, un rito millenario che torna a rinnovarsi ogni primavera in onore della madonna nera. E al centro del Tavoliere di Puglia, in un borgo di poche case, nel cuore del bosco consacrato dalla leggendaria apparizione, centinaia di pellegrini, devoti, gitanti invadono in un apocalittico crescendo i luoghi e i dintorni del moderno e monumentale santuario. Sfrigolio di spiedini e grida di ambulanti si mescolano a stornelli paesani e laudi sacre; colazioni improvvisate e scambi di convenevoli si alternano a incessanti arrivi e ripetuti gesti rituali; commerci di minuterie, giocattoli, oggetti devozionali che stridono in bizzarre fogge si confondono con esibizioni di antichi e recenti addobbi.
Nel contemporaneo, enfatico sovrapporsi dei simboli di un modernismo già consunto, affiorano spessori di tradizione folklorica che suggeriscono immagini appena trascorse: interminabili cortei di carri e i buoi parati e infiocchettati, pellegrini sfiancati da nottate di viaggio, piedi, ginocchi e volti trascinati a sangue nell’adempimento di un necessario ossequio, grida di esistenze disperate e rabbiose eccezionalmente strappate al loro forzato, rassegnato silenzio.
Un culto affondato in un tempo indefinito che non ha ancora smorzato il riverbero di remoti fasti celebranti il tripudio della natura rigenerata, il ritorno solare di una divinità benefica e rassicurante dagli attributi agresti e fecondi. Con l’esuberanza di una originaria e inestinta sostanza vitale il rito si ripete e si rinnova, continuando ad attingere ad un primitivo e codificato nucleo immaginario, riplasmato nell’orizzonte mitico di quella mentalità popolare che lo ha lungamente alimentato.

Nella leggenda di fondazione la madonna Incoronata appare su una quercia, attorniata da figure di angeli e santi; ai suoi piedi il pastore contadino con i buoi in adorazione e San Michele nell’atto di trafiggere il demonio con la spada. Fervidamente accesa da questa immagine la tradizione popolare l’ha fatta propria, adattandola e riadattandola a pratiche giuridiche e magico-religiose, a espressioni letterarie, iconografiche, gestuali e spettacolari, riversandovi i propri valori materiali e fantastici in una efficace commistione con i prodotti della tradizione colta e della propaganda religiosa. Preghiere, laudi, inni, agiografia, testi divulgativi sacri, immagini, dipinti, statue, santini, sono serviti ad ispirare e condizionare i modi in cui i devoti hanno organizzato i pellegrinaggi, strutturato le processioni, allestito le sacre rappresentazioni, traendone a loro volta impulsi di rinnovamento. Tanto che sarebbe arduo stabilire fino a che punto i livelli si siano intersecati e scambiati, quale sia più penetrato nell’altro o più lo abbia contagiato e dominato. Il linguaggio di canti e preghiere è divenuto popolare, adattandosi a inflessioni e dialetti, offrendosi a rielaborazioni, aggiunte, interpretazioni; negli ex voto dipinti si impone il tratto diffuso di un codice artistico popolare che dà risalto al disegno e ai colori. Ma è alla ieraticità austera e raffinata di statue e immagini sacre che attinge l’ideale rappresentativo, quello che forse per contrasto inonda l’immaginario e penetra nei sogni, nelle visioni, negli eventi miracolosi di cui è fittamente costellata la devozione per la madonna Incoronata, traducendosi in altrettanti modelli emulativi per quella solenne e ambita parata allegorica che è la Cavalcata degli Angeli. Denominazione ormai desunta e incongrua per l’imponente sfilata di autocarri e trattori che hanno sostituito buoi e cavalli nella funzione di mobili luoghi deputati dei quadri viventi.
Quella che si offre all’occasionale spettatore è la rappresentazione aggrovigliata e caleidoscopica di un’unica, identica scena moltiplicata nei riverberi di innumerevoli specchi, dove si mescolano e si confondono cromatismi esasperati e soffusi, oggetti comuni e preziosi ornamenti, puntiglioso realismo e fantasiosa metafora. La Cavalcata è uno spettacolo la cui trama come nella tradizione del teatro orientale – è nota e codificata ma la cui capacità di ammaliare e sorprendere torna ciclicamente ad affidarsi a sottili reinvenzioni e ad abili sostituzioni, tali da rigenerare la curiosità e l’attesa per un rinnovato piacere dello sguardo. La scena: l’albero, la lampada votiva, la madonna, il pastore, il cacciatore, San Michele e il diavolo, gli angeli. Trattori e carri, quotidiani strumenti di lavoro condotti a ricevere il battesimo e la benedizione divina, diventano gli spazi rituali della rappresentazione. Avvolti da semplicissimi tessuti – coperte da letto, tende, tovaglie; rivestiti di velluti pesanti, nylon fruscianti, tulli voluminosi; ricoperti con arcate di frasche, tappeti di fiori, pareti di festoni, si trasformano in dimore paradisiache e celesti o nei luoghi di un universo sacrale che trascende a magica apparizione. Volte e corridoi foderati di tenui pastelli rosa e celesti da cui la madonna sorge come una Venere marina; verdi grotte abitate da divinità agresti, candidi templi che esaltano gli attributi sacrali dell’elevazione, della trascendenza, dell’immaterialità. Splendidi lavori artigianali ispirati ai modelli del santuario, del calvario, della barca, si alternano a bizzarre commistioni di elementi vegetali e cromatici, naturali e artificiali, arcaici e moderni.

La monumentale mietitrebbia si accoda al minuscolo treruote, i raffinati manufatti di spighe di grano si circondano di decadenti fiori di plastica, gli ori trionfano insieme alle chincaglierie, i rasi e le sete soffocano tra gli stracci. Così come in un gracchiare di altoparlanti, un ronzio di microfoni e un’eco di dischi consunti, si perdono le intonazioni straziate dei canti ispirati alla antica leggenda, gridati come una interminabile supplica e un doveroso omaggio finché durano il fiato e le forze. Così come le trepidanti invocazioni di grazia e di protezione – dagli incidenti, dalle malattie, dalle avversità incombenti sull’esistenza, dalle calamità naturali che minacciano la terra e il raccolto – si diluiscono in un tripudio festivo di esibizioni, di offerte, compensazioni e competizioni.
Eppure i protagonisti sono gli stessi, venuti da paesi diversi ma ancora in prevalenza legati al lavoro della terra, un mondo popolare incrinato e percorso da recenti, profonde trasformazioni, tanto capace di creatività e immaginazione quanto vulnerabile ai moltiplicati influssi di mondi circostanti e diversi, vagheggiati in ostentati tentativi di emulazione. Non c’è da stupire se modesti e sbrigativi preparativi, motivati dal rispetto di una originaria essenzialità rituale, convivono con smaliziati fervori di arredatori professionisti appositamente ingaggiati o con capolavori ornamentali risultato di giorni e giorni di abile, appassionato impegno. Dal saccheggio del bosco circostante per addobbi di semplici frasche all’acquisto di migliaia di garofani e rose per comporre trionfali mosaici, dalle pure simbologie cromatiche ai preziosismi di abiti e accessori; dalla straripante scena reale alla stilizzata scena metaforica, tutto trova spazio e accoglienza sul palcoscenico sconfinato dell’immaginario popolare.

Nei volti incantati e attoniti degli attori bambini si materializzano le fantasie oniriche di donne e di madri, mentre irrigiditi e composti nei loro ruoli ricreano portamenti e sembianze di quelle sacre apparizioni che invadono i sogni. A loro è demandato il compito di farsi tramiti e intercessori del favore divino, quasi vittime sacrificali di un simbolico omaggio allo spirito rigoglioso della fertilità e della terra. Stuoli di angeli bianchi, azzurri e rosati per evocare immagini di sublimazione, potenza, regalità. Santi dalle fogge bizzarre, ispirate a classici eroi e cinquecenteschi condottieri. Personaggi biblici che sembrano usciti da vecchie pellicole sull’impero romano, gli stessi che popolano processioni e sacre rappresentazioni del venerdì santo: cristi e apostoli, matrone e ancelle, soldati e imperatori, in una fantasmagoria di tuniche, scialli, mantelli; barbe e parrucche fluenti, acconciature di perle e strass, rasi e chiffon in vaporose tonalità di lilla, rosa antico e dorato. Ma soprattutto tante piccole Incoronate e tanti piccoli San Michele, le divinità protagoniste su cui indugiano fantasie e fervori rappresentativi. Madonnine dal volto annerito e mani congiunte dentro guanti scuri, rilucenti di gioielli cosparsi su luminosi abiti bianchi e dorati; pizzi, tulli e broccati accesi dai bagliori di strass e paillettes, in armonico contrasto con i pallidi rosa e gli azzurri soffusi degli sfondi: le aurore, i cieli, i paradisi da cui la divinità emerge come un astro, dominando le comunità di angeli e le figure sacrali in adorazione o in austero atteggiamento di araldi, conformi all’archetipo cromatico nella varietà metaforica di costumi e accessori.

E San Michele, l’angelo guerriero circondato da una devozione diffusa in tutta l’area meridionale e intensa nella Capitanata, dove sorge uno dei suoi più importanti santuari. L’antico Hermes-Mercurio dei culti pagani, da cui ha ereditato l’aspetto guerriero, le ali e l’elmo piumato e attributi simbolici – il monte, la grotta, l’acqua – collegati alla nascita e alla apparizione del dio. Come il San Michele della iconografia tradizionale il personaggio della tradizione popolare indossa elmo e corazza dorata, mantello rosso e gonnellino azzurro; con la destra impugna la spada, con la sinistra lo scudo o la bilancia, Ed è così, in eterno e inesausto antagonismo con il demonio o nell’atto di calpestarlo e trafiggerlo con la spada, che lo ritroviamo nelle rappresentazioni sacre come nelle drammatizzazioni carnevalesche di inestinte tradizioni, simbolo solare del rassicurante trionfo del Bene.
Nel suo abito il rosso e il bianco dorato, colori solari e iniziatici, si accompagnano al cromatismo lunare e inferico dell’azzurro argenteo; riaffiorano e resistono le vestigia di una ritualità pagana che il mondo cristiano ha fatto proprie e che la tradizione popolare ha infuso di rinnovati valori: dagli archetipi cromatici alla spada punitiva di San Michele, dalla quercia dell’apparizione al fuoco della lampada votiva.
In una ridda di arcaico e di postmoderno l’eco remota di motivi ancestrali e di significati cosmici, esistenze trascinate e offerte alla ricerca di sollievo e legittimazione, rigurgiti di un mondo defraudato e palpitante, si uniscono senza apparenti contrasti con l’esibizione di contaminati e ambigui estetismi che fanno pensare alle stravaganze di un recente look femminile: trionfo di pizzi, di strass, di sete lucenti, di tulle impalpabile in accostamenti di preziosismi e trasparenze, di accessori lucenti e vistosi; confuso e conturbante misthère di forme indovinate sotto fluenti e morbidi tessuti, ispirato ad un provocante, sfuggente, imperioso fascino.
L’articolo fu pubblicato in origine su: “Monografie”, a. I, n. 1, aprile 1985, Grenzi Ed., pp. 15-23
Il reportage fotografico di Giovanni Rinaldi è stato realizzato nell’aprile 2013

















































NOTA
La ricerca sul campo fu condotta tra il 1977 e il 1978 nel luogo d’incontro (il Santuario) dei vari gruppi provenienti dalle diverse località e successivamente anche nei rispettivi paesi d’origine, documentando modi di aggregazione, identità sociale, motivazioni e organizzazione in partenza e durante il pellegrinaggio al santuario.
La documentazione sonora presenta canti di pellegrinaggio di diversa provenienza: Subappennino Dauno (Sant’Agata di Puglia), Basilicata (Palazzo San Gervasio, Tricarico), Campania (Montecalvo Irpino), Tavoliere (Cerignola), Murgia (Minervino Murge); canti religiosi polivocali, con aerofoni (zampogne, soprattutto dei gruppi provenienti dalla Basilicata, come il gruppo di Tricarico). In alcuni casi la maggiore ‘familiarità’ instaurata tra i ricercatori e i pellegrini residenti per alcuni giorni presso gli spazi del Santuario, ha permesso anche la raccolta di sequenze di canti di lavoro, narrativi e di cerimoniali laici (si veda in particolare la raccolta relativa a Minervino Murge, con un portatore come Leonardo Malizia che esegue soprattutto canti di lavoro, stornelli e canti narrativi). Diverse interviste contengono informazioni sull’origine dei pellegrinaggi per ogni comunità, le modalità organizzative, di allestimento dei carri votivi e narrazioni biografiche dei singoli pellegrini.
Le registrazioni sonore di Giovanni Rinaldi e Paola Sobrero sono raccolte integralmente nell’Archivio Rinaldi a Foggia. Una larga selezione (138 documenti audio) è depositata e consultabile in Archivio sonoro della Puglia (Fondo Rinaldi) nella raccolta Il pellegrinaggio al santuario della Madonna Incoronata
Le tradizioni popolari ci raccontano una parte delle nostre radici, che affondano nel territorio e nelle generazioni che hanno vissuto prima di noi.
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