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Il murale Di Vittorio sarebbe stata la nostra ultima impresa
Brani dal memoriale di Rocco Falciano

Premessa
Al “Murale Di Vittorio” di Cerignola ho dedicato diversi anni di impegno, dal 2008 al 2016, collaborando e impegnandomi con tanti altri, perché non restasse frantumato e dimenticato. Dal suo recupero, restauro e re-installazione, nel 2017, al centro di una rotatoria (sic!), sono già trascorsi altri anni.
Ed è con soddisfazione che ho accolto l’invito dello SPI Cgil Puglia – nell’ambito del progetto In cammino con Di Vittorio – di curare la mostra documentaria Di Vittorio è un’opera d’arte (inaugurata il 12 giugno 2025 a Cerignola) per raccontarne la storia: dai modelli artistici di riferimento dei suoi autori alla progettazione partecipata con la popolazione di Cerignola, l’ideazione e il progetto innovativi, il cantiere di lavoro, le tematiche sociali politiche e storiche rappresentate nell’opera, fino alla sua rimozione, il degrado, l’oblio e la successiva, lunga, battaglia collettiva per il suo recupero.
A questo lavoro espositivo/documentario affianco – in questo mio blog – testimonianze e storie che ruotano intorno a quelle immagini che vorticosamente appaiono sulle tre grandi facciate dell’opera. Solo così, forse, questa grande opera artistica, narrativa e pionieristica, con uno sguardo più storico e antropologico, potrà superare la sempre rischiosa retorica e diventare occasione di riflessione anche per il presente.

La prima storia ce la racconta uno dei suoi principali autori: Rocco Falciano. È l’impresa epica di quei rivoluzionari artisti del Centro di Arte Pubblica Popolare di Fiano Romano che arrivarono a Cerignola nei primi anni Settanta e della genesi della loro opera che non voleva “farsi monumento”.
Il racconto che segue, Il Murale Di Vittorio sarebbe stata la nostra ultima impresa, l’ho ‘composto’ scegliendo brani dal suo bellissimo libro “Il treno d’argento”.

Rocco Falciano (Potenza 1933 – Roma 2012)

Dal memoriale di Rocco Falciano
[Nel 1965] Ettore de Conciliis ebbe l’incarico di realizzare una pittura murale nella chiesa di San Francesco in un quartiere povero della sua città di origine, Avellino. Decidemmo di unire le nostre forze e lavorare insieme. (…) Avremmo portato in chiesa la storia dei nostri anni attraverso le immagini divulgate dai mezzi di comunicazione di massa, dai rotocalchi ai filmati cinematografici e televisivi, come elementi di meditazione. La visione doveva essere simultanea, i tempi concomitanti, sovrapposti, come un’onda ininterrotta, secondo una prospettiva psicologica che si avvaleva della contaminazione della pittura con le tecniche del montaggio cinematografico.

Opera pubblica e superamento del ruolo dell’artefice unico

Sarebbe stato un modo nuovo di operare che metteva in discussione il ruolo tradizionale dell’artefice unico, e quindi ancora da sperimentare nella pratica del lavoro. Era una scelta etica non priva di rischi. La lunga elaborazione dei disegni preparatori e dei cartoni nello studio di Mazzacurati ci aiutò a chiarire molti problemi col contributo prezioso della sua esperienza. (…)

Un Centro di arte pubblica popolare

[Qualche anno dopo, nel 1971] nacque l’idea di costruire a Fiano Romano il Centro di Arte Pubblica Popolare d’intesa con il sindaco e con l’amministrazione comunale. Per questa iniziativa avevamo avuto l’incoraggiamento di numerosi artisti italiani e stranieri che ci offrirono le loro opere, da Raphael Alberti a Carlo Levi, Treccani, Guttuso, Attardi e tanti altri noti e meno noti che ci aiutarono a realizzare la nostra idea. Ricordo particolarmente l’incontro con lo scultore Giacomo Manzù nel suo studio museo di Ardea che ascoltava con attenzione e interesse il nostro programma mentre gli facevamo vedere le foto dei nostri murali. Il Centro progettato da Giorgio Stockel era una struttura adatta alla sperimentazione dei materiali nuovi per la pittura, con un archivio fotografico di documentazione, un ambiente per esposizioni e convegni, e un laboratorio per le grandi opere pubbliche. (…)
Avremmo continuato a fare opere murali programmando meglio il nostro lavoro e portando avanti nello stesso tempo le iniziative adatte a promuovere l’arte pubblica. In questa direzione erano orientate le nostre numerose attività collaterali che comprendevano la partecipazione a momenti pubblici di riflessione teorica sui rapporti tra arte e società, e la collaborazione con gli enti locali per riqualificare le attività produttive legate alla cultura artistica. (…)

A Cerignola, luogo storico delle lotte dei braccianti

[Nell’estate del 1972] prendemmo parte al convegno degli intellettuali del Mezzogiorno a Napoli sulle condizioni del lavoro culturale nelle regioni meridionali. (…) Al convegno di Napoli, in quel clima di fervore e di euforia, l’iniziativa e la volontà costruttiva di pochi ci avrebbero fatto superare il ritardo o l’inerzia delle istituzioni locali. Insieme ad alcuni del Comune (col contributo dell’architetto Gianni Musacchio e di Vincenzo Pizzolo) avevamo concordato di incontrarci a Cerignola, luogo storico delle lotte dei braccianti per la liberazione delle campagne, per tenere una serie di conversazioni nelle sedi delle grandi organizzazioni sindacali e politiche. All’inizio dell’autunno andammo a Cerignola per la prima volta.
Dopo Avellino, seguendo il versante dell’Appenino che porta in direzione di Foggia, attraversammo con un cielo grigio sopra la testa il grande latifondo di basse colline ondulate di terra bruciata e ocra in fuga verso l’orizzonte aperto, punteggiate da radi cespugli e masserie vuote come fortezze abbandonate. All’imbrunire scendemmo dall’automobile nel piazzale del motel appena fuori città. Stavano arrivando le orde dei cacciatori del Nord per aspettare il passaggio degli uccelli migratori. Erano venuti in quella terra che consideravano una propaggine dell’Africa per appagare la loro inconsapevole sete di avventura e di violenza, lusingata dagli operatori turistici di gite e safari per famiglie tutto compreso. (…)

Al primo incontro con i braccianti esponemmo una documentazione fotografica dei lavori del nostro gruppo, insieme a opere sperimentali eseguite individualmente da ognuno di noi, e facemmo un dibattito sul rapporto tra gli artisti e il mondo del lavoro a cui partecipò ancora una volta con generosa disponibilità Ernesto Treccani. C’era la possibilità di realizzare un murale in piazza Matteotti, dove la sera si radunavano i braccianti, al fine di conservare la memoria delle lotte contadine nel Mezzogiorno. Dopo qualche mese, alla fine di maggio, ci fu un secondo incontro che proseguì anche durante la settimana seguente con un’assemblea popolare nella sala del Teatro comunale, alla quale parteciparono circa trecento persone tra braccianti, amministratori, esponenti dei sindacati, della scuola e dei partiti politici. In quell’incontro quasi ecumenico riuscimmo con difficoltà a formare un comitato locale per lavorare insieme. Non c’era l’abitudine a fare queste cose, e ci volle un tempo lungo prima di chiarire quali sarebbero stati i contenuti dell’opera da realizzare che si presentava densa di problemi.

Oltre la retorica celebrativa e cimiteriale

A Cerignola, l’idea di partenza, quella prevalente di fare un monumento alla vecchia maniera raffigurante Giuseppe Di Vittorio secondo la consueta retorica celebrativa e cimiteriale, si era decantata strada facendo. Dopo aver ragionato con molte persone per capire meglio, ci sembrò più giusto realizzare un’opera narrativa più complessa, una nuova forma di monumento dipinto per ricordare non soltanto Di Vittorio ma l’intero movimento dei contadini meridionali e le loro lotte per la terra e i diritti civili, insieme all’azione del movimento operaio nelle città del Nord, in una sorta di unità ideale intorno alla figura di un grande personaggio che ne aveva espresso pienamente i bisogni e le necessità, come bandiera di un mondo nuovo in movimento. Insieme a questo bisognava rappresentare il mondo negativo che precipita, la disgregazione, la caduta senza fine della società parassitaria meridionale, la realtà violenta del sistema clientelare, lo stato di dolore, la crisi, la divisione; lo sviluppo impetuoso e drammatico che aveva trascinato e travolto il mondo del lavoro nel vortice della civiltà delle macchine, provocando l’abbandono delle campagne e il grande esodo dal Sud verso le maggiori città del Nord Italia e dell’Europa.

Erano tempi di eccessi e di responsabilità esclusive che negavano valore all’individualità. Nella concezione che alcuni avevano della cultura e del lavoro culturale, si avvertiva il pericolo di una certa forma di misticismo, la mitizzazione della base e la sospetta volontà di annullare la propria persona in un rigido e spento anonimato moralistico. Molti di noi vivevano con dedizione totale e anche con sincera confusione quel momento che sembrava senza principio né fine. Ma già si cominciava ad avere il senso dell’esaurimento di quel tempo che agli occhi di molti appariva esaltante, perché di fronte ai tanti problemi e alla lentezza delle grandi organizzazioni si moltiplicavano gli sforzi personali e la fatica al limite delle possibilità di ciascuno. (…)

[Nell’estate del 1973] il Comune di Cerignola ci aveva affidato l’incarico del murale dedicato alla figura di Giuseppe Di Vittorio. Questa volta ci saremmo staccati più nettamente dalla tradizione del modello bidimensionale come semplice supporto della pittura. La costruzione di un oggetto da inserire nella villa comunale capace di influenzare lo spazio, avrebbe investito in pieno il campo dell’urbanistica e dell’architettura, con problemi di inserimento nel tessuto urbano, di visibilità a distanza e di lettura ravvicinata.

L’oggetto: un murale “tridimensionale”

Verso la fine di settembre cominciammo i primi disegni individualmente pensando all’idea d’insieme e ad alcune immagini particolari. (…)

Alcuni disegni preparatori di Rocco Falciano e recentemente ritrovati
(dall’Archivio privato famiglia Falciano, gentilmente concessi da Marcella Colucci e Marco Falciano)

[All’inizio del 1974] dopo un viaggio di lavoro con Ernesto Treccani che mi aveva invitato ad andare in Lucania per dipingere a Bernalda e nella campagna di Potenza, tornai a Fiano. Era stato approvato il progetto del murale di Cerignola e per la prima volta potevamo lavorare nel laboratorio del Centro con attrezzature più adatte. Il Comune aveva deciso di situare il murale non più nella villa comuna­le ma nella piazza del centro scolastico, e fu necessario fare alcune modifiche per la diversa collocazione dell’opera. (…)

Il cantiere a Fiano Romano

Alla fine di settembre il murale dedicato a Di Vittorio era già finito in laboratorio, e durante l’autunno a Cerignola cominciammo a costruire con opportune canne metalliche la struttura di un tronco di piramide cava rove­sciato a tre facce, sulla quale montammo i tre pannelli com­ponibili di cemento-amianto che raccontavano nello spazio della piazza la storia sociale della città, insieme a quella di uno dei suoi figli più illustri e generosi, ricco di umanità e di passione civile.

Carlo Levi era molto interessato alle nuove forme di espressione artistica che stavano nascendo in quegli anni, in particolare alla nostra esperienza di gruppo che egli seguiva portando il suo contributo di solidarietà e di partecipazione umana. Era già venuto a Cadelbosco di Sopra, poi nel cen­tro studi di Danilo Dolci per vedere il nostro lavoro sul tema del sistema clientelare mafioso e da ultimo a Piano. Parlando con Ettore davanti al lavoro finito dei suoi incon­tri con quel grande personaggio, ne aveva fatto il ritratto più fedele nell’autunno di quell’anno, il 1974. (…)

Il montaggio del murale sul posto fu complicato dalla mancanza di mezzi adeguati. Esponendoci a rischio fummo obbligati a costruire per terra le alte intelaiature portanti sollevandole in verticale con corde e argani improvvisati cementandole nel terreno e collegandole tra loro con tiran­ti metallici trasversali. Durante una manovra difficile fui tra­scinato da una lunga canna metallica sfuggita all’imbracatu­ra e caddi da alcuni metri di altezza su un cumulo di sabbia senza danno.

Cerignola 1975, Piazza della Repubblica (ph. Belviso, Archivio D. Turtura Flai Cgil Roma)

Le reazioni e le provocazioni

Non erano tempi facili. Cerignola era la terra di Di Vittorio, ma anche la città di Caradonna che aveva guidato gli attacchi dei fascisti all’Università di Roma, e le tensioni locali tra la destra e la sinistra si manifestavano al massimo livello. Durante l’assemblaggio, nella piazza si aggiravano dei personaggi che seguivano per ore il nostro lavoro. Una volta ci inseguirono in pieno giorno per il centro della città con l’intento di darci una dura lezione, se non fossimo riu­sciti a riparare in tempo nel palazzo del Municipio dentro l’ufficio del sindaco. [Nel febbraio 1975] avevamo appena finito di montare il murale quando tre giorni dopo fu oltraggiato da numerosi colpi di pistola, esplosi contro le immagini di Gramsci e di Di Vittorio. La protesta energica delle organizzazioni sinda­cali dei braccianti e le dichiarazioni rilasciate ai giornali da molti esponenti del mondo dell’arte e della cultura tra i quali Renato Guttuso, Ernesto Treccani, Carlo Bernari e Mario De Micheli, contribuirono in modo determinante a evitare nuovi attacchi distruttivi. Al di là di questo grave episodio di intolleranza nichilista e violenta di cui si occupò la stampa nazionale, il lavoro aveva suscitato altre critiche di ordine ideologico, ma molti consensi, specialmente tra i giovani. Gli studenti della facoltà di architettura del Politecnico di Milano ci invitarono a presentare il murale di Cerignola insieme a opere realizzate dal nostro gruppo, con la proiezione di diapositive e un vivace dibattito coordinato dallo storico dell’ar­te Mario de Micheli, sulla funzione civile dell’opera d’arte e sui rapporti con l’ambiente urbano e l’architettura. Era una questione non marginale, che allora era tornata al centro del dibattito artistico non soltanto in Italia, e alla quale erano particolarmente attenti e interessati alcuni studenti che vennero a lavorare con noi per la loro tesi di laurea sul­l’attività del Centro di Arte Pubblica Popolare.

Cerignola 1975, Piazza della Repubblica (ph. Costantino Caputo)

Per la prima volta una pubblica istituzione aveva dimo­strato che era possibile realizzare opere d’arte di interesse pubblico che esprimono valori condivisi dalla gran parte della comunità, creando l’illusione di una nuova committen­za e la prospettiva di un ritrovato ruolo sociale dell’artista. Con rinnovato slancio avevano cominciato a studiare il pro­getto di un’opera esterna in mosaico dedicata alla Resistenza del comune di Poviglio in provincia di Reggio Emilia, che non si sarebbe mai realizzata. Il primo taglio drastico del Governo ai bilanci regionali e comunali interruppe brutal­mente quella illusione e la possibilità di continuare a speri­mentare in questa direzione, segnando l’inizio di un cambia­mento di tendenza e di una regressione che avrebbe arresta­to sul nascere le iniziative e lo sviluppo delle autonomie loca­li anche nel campo della cultura e dell’arte.

Qualche anno più tardi Cerignola, la città che aveva voluto costruire un’opera monumentale per ricordare la propria storia civile e sociale legandola alla vicenda di uno dei suoi protagonisti maggiori, l’avrebbe lasciata deperire nel degrado dell’incuria e dell’indifferenza.

Dal film “Noi bruciamo gli elefanti” regia Giuseppe Valentino (Prod. Against the static film, 2013)

Il murale di Cerignola sarebbe stata la nostra ultima impresa

Dopo i clamori delle polemiche e l’enfasi un po’ eccessi­va dell’inaugurazione [novembre 1975] era venuto per noi un periodo di riflessione che ci permetteva di riordinare e mettere insieme il materiale che documentava il lavoro svolto, di valutarne i risultati e i limiti entro un orizzonte culturale molto variega­to che già stava cambiando. (…)

Il destino dell’arte

Varcato il millennio, di fronte alla generale perdita di una sensibilità estetica e al progressivo allontanamento dalla natura e dalla bellezza del mondo, molti continuano a chiedersi quale sarà il destino dell’arte. Ritengo inutile piangere il paradiso perduto. Ma non mi adatto. Resisto senza filosofeggiare troppo. Il pittore non può avere un grande ruolo, non può essere il rappresentante di un’epoca. Non è uno sciamano, non ha poteri per frugare nelle ceneri del passato e fare previsioni, non può volare nel regno in cui ogni mancanza sarà risarcita. Nel nostro Occidente bloccato non sembra esserci un nuovo pensiero, una nuova idea di vita, un valore. In questo tempo senza progetto e senza redenzione, in questa ronzante pausa in cui la vita pubblica è priva di tensione civile e morale, forse bisogna guardare oltre la disperazione e il cinismo del presente, portandosi dietro quel poco che siamo stati capaci di fare, senza aspettarci niente di più, senza tentare di trasformare il mondo, o illudersi con bugie sul domani. (…)

NOTE
Scelta di brani da: Rocco Falciano, Il treno d’argento. Memoriale 1950-1990. L’Italia dei pittori e dei poeti, Avagliano Editore, Roma 2007. 
Titoletti a cura del redattore.
Fonti iconografiche: Archivio Giovanni Rinaldi – Foggia, Archivio famiglia Falciano – Roma, Archivio Centro Arte Pubblica Popolare – Fiano Romano, Archivio D. Turtura Flai Cgil – Roma.
Brevi note biografiche: Rocco Falciano

In questo blog, leggi anche: Se Di Vittorio é un’opera d’arte

A Cerignola presso la Camera del Lavoro CGIL in piazza I Maggio è esposta dal 12 giugno 2025 la mostra documentaria sulla storia del Murale “Giuseppe Di Vittorio e la condizione del Mezzogiorno” (opera recuperata e reinstallata in Piazza della Libertà nel 2017)