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di Nazario Tartaglione

Fondere la visione e la sensibilità di un’artista alla ricerca storica popolare e all’antropologia, può significare amplificare la visione del ricercatore,  contribuendo all‘idea aperta di cultura, quale frutto di una continua elaborazione e capacità d’ accoglienza, tese a produrre  un nuovo senso condiviso ed una rinata identità popolare. Sono questi gli elementi che, insieme al suo eclettismo e alla sua produzione, restano impressi incontrando il pensiero di Giovanni Rinaldi, autore e antropologo della terra dauna e di Puglia. Infatti è proprio a lui che si devono alcune tra le più importanti  opere di recupero e archiviazione di documenti e testimonianze del mondo bracciantile, tra cui ricordiamo subito L’Archivio della cultura di base e, per il suono,  L’Archivio sonoro della Puglia, nella convinzione che la musica popolare e il canto siano stati la forma culturale più diffusa nel mondo. Nato a Cerignola nel 1954, città a cui resterà profondamente legato anche attraverso  la figura di Giuseppe Di Vittorio, fondamentali per la sua formazione sono gli studi al Dams di Bologna, dove frequenterà il gruppo teatrale di Giuliano Scabia, avviandosi a fondere storie e competenze e a considerare le culture non alte o basse, ma  interagenti tra di loro, in un viaggio verso le radici profonde, di se e dell’ambiente sociale, in cui  conoscerà l’identità popolare e contadina emiliana e poi quella della sua terra, scoprendone la modernità e realizzando, con Paola Sobrero, L’archivio della cultura di base, presso la Biblioteca Provinciale di Foggia, e il volume “La memoria che resta, vita quotidiana, mito e storia dei braccianti nel Tavoliere di Puglia”, definito dall’Istituto Ernesto de Martino di Firenze, la più importante ricerca che sia stata fatta nel nostro Paese su una zona di bracciantato agricolo. Un’opera che, immersa nell’interrogazione dell’analisi artistica, nel 2002 ritornerà al teatro, diventando un progetto attoriale e multimediale, prodotto dalla compagnia Armamaxa, con Enrico Messina, e rappresentato in centinaia di città italiane. “Nello spettacolo le voci originali dei testimoni incontrati tanti anni fa emergono dal buio e dialogano con le voci degli attori, che ‘attraversano’ le immagini videoproiettate delle vecchie foto (volti, occhi, mani, luoghi e folle)”,  ci dice entusiasta Giovanni Rinaldi, sempre fedele al metodo del racconto diretto, in cui i protagonisti testimoniano  storie vissute, di lotta e fatica, le stesse che lo hanno affascinato e che, anonime e pazienti, hanno intrecciato la storia popolare, tesa ad ottenere una nuova dignità di classe, cristallizzatasi nella figura del grande sindacalista di Cerignola. “Oggi, dopo tanti anni, continuo a credere che la cultura non si possa dispensare dall’alto, ma, al contrario, possa solo crescere dal basso. Facendo parlare nuovamente gli uomini e le donne, ai quali spesso non si dà parola, si potrebbe riprendere un metodo che mette al primo posto l’esigenza non solo di divenire protagonisti di storia, ma anche di acquisire la capacità di narrarla e tramandarla, senza deleghe e senza pericolosi vuoti di memoria.” Un personaggio eclettico dicevamo, a metà strada tra arte e mestiere, come gli artigiani del ‘500, che vede i risultati delle sue ricerche divulgati in numerose pubblicazioni ma che dal 1980 si occupa  anche di fotografia, immagine e comunicazione, fino a farne una professione e a strutturare i quattro pilastri della sua attività: “bellezza, immagine, storia e impegno civile”. Il  2004 invece è l’anno della musica che fino al  2007 lo ha visto impegnato col jazzista  Umberto Sangiovanni alla realizzazione dei dischi  La Controra e Calasole, per  RAITrade, ed è sempre nel 2004 che le Edizioni Aramirè di Lecce rieditano La memoria che resta, scritto con Paola Sobrero. Rinaldi è inoltre autore, con il regista Alessandro Piva, del cortometraggio Pasta nera, che verrà presentato a  breve,  e del  reportage narrativo I treni della felicità, vicenda in cui rileva l’impegno individuale e famigliare, “Ciascuno sentiva la forza e il dovere di fare qualcosa, senza aspettare gli altri”, e di cui è prevista una promozione multimediale e musicale. Dall’ottobre 2005 al dicembre 2008, ha diretto il progetto “CASA DI VITTORIO”, e attualmente cura il suo archivio dedicato al sindacalista, impegnato anche nella battaglia per salvare il Murale ad egli dedicato. Da sottolineare il distacco  dell’autore dalla chiusura dei localismi, che per quanto reazioni alla globalizzazione e alla sua azione omologatrice restano contrari alla cultura popolare, meticcia per antonomasia, e che dalla sua naturale capacità di apertura trae la forza per affrontare con dignità e umanità gli eventi attuali, fondendo l’antico al contemporaneo e rinnovando le tradizioni, anche attraverso un archivio della memoria storica popolare, purtroppo non ancora presente in Capitanata, ma tanto desiderato da Rinaldi, non solo come contenitore di prove concrete, ma anche come laboratorio, punto di incontro e sperimentazione, volto a rappresentare l’eccezionale creatività e originalità delle culture. Un archivio on line e interattivo, che permetta scambio e dialogo, ed usi l’immagine per emozionare e affascinare, senza imporre ma, proprio come la prima televisione, favorendo il contatto, poggiato questa volta su una nuova cultura orale, quella di internet e dei social network, e così accompagnando l’autore nel suo viaggio, iniziato sui palchi del Dams e mai concluso. Un percorso al cui orizzonte oggi si affacciano i nuovi braccianti, giovani figli di una flessibilità e di un precariato insostenibili, che tolgono  dignità ai lavoratori, orfani di un nuovo Di Vittorio, forse nascosto proprio negli occhi pieni di coraggio e di speranza di questi giorni disperati.

Dal “Corriere di San Severo”, 10 aprile 2011