Solo oggi mi sento pronto a divulgare alcune parole che hanno accompagnato la mia decisione di lasciare l’Associazione Casa Di Vittorio e il progetto che la stessa avrebbe dovuto portare avanti. Forse sento di farlo guardando intorno a me lo sfascio di una sinistra che è stata incapace di reinventarsi e di parlare oltre i propri steccati (politici, ideologici, culturali, di interesse, di potere) agli altri, a tutti. Aggiornando le idee, ma soprattutto aggiornando anche il linguaggio, ormai ammuffito e retorico.
Potevo rimanere al mio posto, facendo buon viso a cattivo gioco, adattandomi e sopportando metodi e obiettivi non condivisi, in un continuo patteggiamento tra posizioni di rendita partitiche e sindacali. Potevo sfruttare, come altri, il prestigio di una rappresentatività individuale per altri scopi di carriera o di autoaffermazione.
Mi sono arreso, invece, incapace di fare quello che non mi dava né piacere, né soddisfazione culturale, né, soprattutto, motivazione politica.
Naturalmente nessuno ha tentato di recuperare la mia perdita, anzi, forse, figure come la mia vengono messe volentieri in deposito, così come la mia storia, le mie ricerche, i materiali di storia popolare e proletaria, sui quali poi si piange gridando alla “perdita della memoria”.
La mia memoria, comunque, resta, sia pure senza utilità apparente, in questi lunghi giorni in cui mi domando cosa fare, per chi farlo, perché farlo.
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Tre lettere di tre anni fa
Al direttivo dell’Associazione Casa Di Vittorio
Nell’imminente inaugurazione della sede in Cerignola dell’Associazione “Casa Di Vittorio”, uno dei traguardi del progetto da me ideato e ‘battezzato’, prendo atto con profondo rammarico dell’impossibilità di impegnarmi nei modi e nelle forme che da sempre hanno contraddistinto l’aspirazione all’eccellenza del mio lavoro. Per questo, coerentemente con le mie idee di elaborazione culturale e di lavoro di gruppo, sempre perseguiti nel mio ormai più che trentennale percorso biografico, comunico le mie dimissioni dal direttivo dell’Associazione “Casa Di Vittorio”.
Ho, infatti, verificato l’impossibilità di un rapporto paritario e democratico tra tutti i componenti del direttivo (a tutt’oggi i soli componenti dell’associazione stessa), soprattutto nell’affrontare questioni di metodo, di gestione, di contenuto e di impegno.
Ho riscontrato inoltre, fin dai primi passi della nascente associazione, il venir meno della fiducia, dovuta a chi ha avviato e diretto il progetto da cui l’Associazione stessa ha poi preso le mosse, pur avendo messo a disposizione della stessa tutta la mia esperienza di ricercatore, nel campo della storia orale e della documentazione d’archivio e multimediale, realizzata in anni di lavoro e di ricerca sul campo. Ricerca e materiali che ancora non trovano collocazione e valorizzazione.
Ultimamente sono stato posto di fatto nell’impossibilità di condividere indirizzi, modi e forme dei progetti in corso, per la totale assenza di informazioni (che noi tutti siamo legittimati a ricevere) sull’andamento organizzativo e sull’utilizzo delle risorse.
La mia momentanea, e personale, indisponibilità operativa, che non ha mai implicato l’abbandono del progetto associativo, è divenuta immediatamente occasione di esclusione, senza dialettica alcuna. Scelgo quindi di lasciare spazio ad altri che più di me sembrano decisi a far valere le ragioni dello stare insieme con tali modalità.
Auguro, quindi, all’Associazione di riuscire nel tentativo di allargarsi e nutrirsi di nuove partecipazioni, possibilmente giovani e motivate, ricche di idee innovative e originali, che partendo dai valori e dall’umanità di Giuseppe Di Vittorio, trovino strade e parole nuove per parlare alla società di oggi. Nelle idee nuove e originali e nei loro portatori bisogna, però riporre fiducia, lasciandoli operare.
Auspico che l’Associazione rimanga soggetto culturale e collettivo evitando il rischio di gestioni personalistiche o familiari e che non raccolga solo mattoni per costruire la propria ‘casa’, ma amici e compagni per viverci e tenerla sempre aperta a chiunque voglia entrarci.
Nell’inventare, sei anni fa, il logo “Casa Di Vittorio” e nel curare il sito del progetto (la ‘casa’ virtuale), era già implicita nei miei pensieri l’idea di non farne un brevetto ma il nome di una cosa sognata per anni, che da percorso individuale e solitario si trasformasse in percorso collettivo, in cui altri si riconoscessero e provassero a cimentarsi. La fiducia concessa inizialmente al mio progetto dalla figlia di Giuseppe Di Vittorio, Baldina, onorò e confermò il mio impegno, dopo decenni di silenzio e di apatia. Credo, almeno in questo, di essere riuscito a portare a termine il mio compito.
Vi auguro ‘buon lavoro’ – Giovanni Rinaldi
Foggia, 20 settembre 2010
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Caro Presidente Vendola [il messaggio non ha ricevuto risposta]
rammaricato di non poterLa incontrare per l’inaugurazione della sede dell’associazione “Casa Di Vittorio”, ritengo doveroso e corretto nei Suoi confronti – come ho fatto con l’assessore Silvia Godelli – inoltrarLe la lettera di dimissioni indirizzata al direttivo dell’associazione, che, sulla scia del mio progetto “Casa Di Vittorio”, mi ha visto, con altri, fondatore.
Spero capirà le ragioni di questa scelta per me coerente ma dolorosa, che ritengo necessaria per evitare di proseguire su un percorso diverso da quello in cui credo, non sopportando di diventare strumento di retorica politica invece che soggetto di cambiamento per una cultura di base partecipata e popolare.
Continuerò comunque, come faccio da trentasei anni, a lavorare perché la storia di braccianti, contadini, operai possa essere in primo luogo raccontata da loro stessi, perché così avrebbe probabilmente gradito lo stesso Peppino Di Vittorio.
Le strade e i percorsi culturali sono inifiniti e non siamo tenuti obbligatoriamente a percorrerne uno solo. Auguro quindi all’associazione di far bene e alle istituzioni di farsi carico della costruzione di una vera “CASA DI VITTORIO”, che ritengo ancora un sogno non avverato.
Con la più grande stima – Giovanni Rinaldi
Foggia, 20 settembre 2010
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A un giornalista [il messaggio non ha ricevuto risposta]
Caro …
la ringrazio per aver ricordato, nell’articolo sull’apertura della sede dell’Associazione Casa Di Vittorio, il mio progetto che alcuni anni fa così bene fu da lei presentato sul suo giornale.
Mi ha fatto piacere perché dimostra un’attenzione, che altri non hanno avuto, sull’importanza di quella intuizione iniziale che smosse le acque stagnanti di una agiografia partitica e sindacale che spesso si perdeva in cerimonie e rituali e poco coinvolgeva le nuove generazioni.
Purtroppo quella impostazione, con la fine del progetto istituzionale, in cui credevo fortemente, e con la nascita dell’associazione, che pure ho contribuito a fondare, si è persa ed è mutata, tanto da farmi prendere la decisione di dimettermi dal direttivo e separare le mie sorti da quelle del gruppo con cui ho provato a condividere le mie idee e le mie competenze. Non ho ricevuto la fiducia che mi aspettavo, soprattutto dalla presidenza (Baldina Di Vittorio e sua figlia prof.ssa Berti), e quindi con coerenza ho lasciato loro la responsabilità di proseguire nel modo migliore che riterranno, e che non condivido nei metodi e nei fini.
L’amarezza per questa esperienza, di difficile rapporto con le istituzioni e dell’altrettanto difficile affermazione delle proprie idee e capacità, la mia libertà culturale e politica, che continuo a difendere non volendo tessere o borse da brandire come difesa, hanno inoltre ridotto gli spazi del mio lavoro di organizzatore culturale, che per circa trentanni sono pur sempre riuscito a svolgere. L’ho fatto sempre rischiando di persona giocando senza sponde e protezioni. Forse per questo, pur possedendo credenziali di tutto rispetto, sono alla ricerca inutile di un lavoro.
[…] Giovanni Rinaldi
Foggia, 22 settembre 2010
L’ha ribloggato su Città del Solee ha commentato:
Autentico
Condivido ogni parola dell’odierna lettera che descrive in modo perfetto l’attuale situazione del nostro amato Paese.
Sono invasa da una grande rabbia nel leggere le tue parole, a distanza di tre anni, ora che persone comuni come noi hanno visto dilapidare un patrimonio immenso, soffrono la mancanza di essere rappresentate e sono alla ricerca di punti di riferimento nuovi, ma ancorati a ideali forti e condivisi.
cara Yourcenar, sorella cara, forse ho lavorato soprattutto per la mia passione, per il mio piacere (sempre condividendoli) e molto meno per il mio interesse. Sono convinto, comunque, di aver fatto bene e di aver fatto il necessario, mantenendomi coerente. Oggi è un po’ faticoso reggere le conseguenze delle mie scelte, ma la rabbia è passata, spazzata via dalla serenità del sentirsi pulito, pulito dentro (come diceva la mia cara amica Irma ne “I treni della felicità”).