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‘Primo Maggio senza libertà 1934’ in ‘Una fervida orazione antifascista al sole’
di Emanuele Gualano

[L’autore di questo testo – rimasto inedito per 86 anni – Emanuele Gualano, nato a San Nicandro Garganico nel 1888, contadino, fu un amato e seguito capopopolo socialista e anarchico; da giovanissimo fu autodidatta dedicandosi alla lettura di opuscoli e giornali socialisti; guidò nel primo dopoguerra le occupazioni delle terre e fu perseguitato politico sotto il fascismo.
Il manoscritto che qui pubblico e i documenti allegati, sono conservati nell’Archivio privato Giovanni Rinaldi, “Fondo Gualano”, a Foggia; questa è la prima pubblicazione in assoluto del testo; nelle foto lo Statuto della prima Lega fra i contadini di San Nicandro Garganico e alcune pagine tratte da un canzoniere socialista anarchico dei primi anni del ‘900; in calce al testo il link al file audio “Inno del Primo Maggio” di Pietro Gori, cantato da Antonio Gravina detto Rignanese di San Nicandro Garganico
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      Era la sera inoltrata di poche ore del 30 aprile 1934.
La polizia monarco-fascista di S. Nicandro, tradizionalmente rosso, di un vivo scarlatto, preoccupata della data fissa internazionale del PRIMO MAGGIO del lavoro, si era mobilitata in pieno assetto di guerra consegnata in caserma, per procedere nella notte stessa all’arresto di tutti i noti “sovversivi antifascisti”. Io che di questi arresti a sorpresa notturna, di violenti banditismi, molti anni di galera, deportazioni confinarie e TRIBUNALI SPECIALI, ne avevo stracolmo le tasche, abbandonavo il paese sotto lo sguardo vigile e smanioso delle spie perché non sfuggissi a questa retata di “nemici dell’Era fascista”. L’operazione di dispetto antispie non mi fu facile, è vero, ma varcato di qualche passo più allungato nell’oscurità della campagna, questi poveri incoscienti al servizio compensativo del “Fascio di combattimento” – eroicamente – non mi pedinarono più…
Libero da ogni disgustoso sogghigno, provocatorio delle “squadracce” armate di Mussolini, a passi lenti e meditabondo, girovagai per tutta la notte nella campagna analizzando le cause dell’avvento del fascismo al potere nazionale e sul valore della libertà, quale essenza assoluta a garanzia del diritto supremo dell’uomo di elevato pensiero e del libero progresso economico, sociale e politico delle classi lavoratrici d’ogni settore produttivo. Ma, purtroppo, questo patrimonio di libera convivenza del popolo italiano, da dodici anni, era stata violentemente distrutta dalla dittatura Fascista…

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      Verso primi albori del Primo Maggio – quasi stanco – sedevo sopra la punta estrema d’un alto macigno accanto al quale scendeva giù, a picco precipitoso, un profondo canale scavato tortuosamente dalle piogge dei secoli.
Intorno e dentro di me dominava, inesorabilmente, un silenzio opprimente. Perché? Era la stanchezza fisica e il sonno perduto nella notte che volevano il diritto di riposo? No! Era l’effetto tormentoso del dodicesimo Primo Maggio del lavoro italiano brutalmente soppresso da un violento abiuro del Socialismo: Benito Mussolini.
Stretto in questa tortura morale, sembrava che ogni valida ragione di vivere ancora senza un qualsiasi libero moto politico tra i lavoratori non avesse più senso. Infatti, man mano che andavo ripetendo con la mente confusa che la morte anticipata non poteva essere peggiore del vivere senza più un valido contributo alla causa della libertà, diminuiva rapidamente nel mio spirito ogni valore difensivo.
      In questo stato di progressiva sfiducia di me stesso, incominciavo ad annaspare nel vuoto mille strane congetture, tanto che stavo per cedere con tutto il peso del mio corpo al burrone sottostante. Ma l’attimo insidioso della morte non prevalse sulla mia debolezza psichica. Infatti ad un tratto sentivo alle mie spalle, gelate nella notte, un gradevole caldo, e volgevo lo sguardo dalla parte opposta.
      Era spuntato da poco il sole del Primo Maggio di tutti i lavoratori del mondo libero, ma non per quelli dell’Italia oppressa dalla dittatura fascista…
Distolto così dal mio stato d’incertezza spirituale, guardai meravigliato quel grande disco vulcanico raggiante di luce calda che marciava maestosamente verso l’infinito cielo: astro dal quale dipende, in esclusiva, la vita palpitante di svariati miliardi di esseri umani, buoni e tristi, e miliardi incalcolabili di esseri animali d’ogni specie.
Rimessomi nell’ordine consapevole del mio spirito, volgevo al sole questa fervida orazione antifascista di ringraziamento alle sue virtù solari:

Grazie, o sole, perché solo tu conforti ancora di buone speranze il mio animo socialista profondamente turbato anche in questo giorno di liberi canti dell’uman lavoro, là dove la libertà di pensiero è patrimonio imprescrittibile di tutti gli uomini grandi ed umili. Grazie, o sole, perché solo le tue dolci carezze fanno rivivere ancora nel mio spirito, materia e ragione analitica, l’ideale della santa libertà, per continuare la lotta e la resistenza contro l’immane dittatura del fascismo: sicario violento al servizio del Capitalismo. Grazie ancora, o realistico dio della luce prodigiosa della vita d’ogni cosa della terra, tu sei il potente anelito nel cuore di tutti i faticanti, la gioia di vivere tra il fecondo lavoro dei campi e delle stridenti officine, dove si fondono sempre più saldi le lotte e le speranze per l’avvento di un nuovo mondo di pace e di libertà. Si tu non sei solamente l’elemento realistico indispensabile della vita, ma sei pure la sublime ispirazione di grandi cose nello spirito pensoso del grande filosofo umanista, nell’animo gentile del poeta libertario, nella mente libera dello scrittore, del cuore ardente del veggente e del sommo artista, i quali, uniti tutti in un solo intendimento di amore umano, spargono a profusione nel gran solco delle ardue lotte umane, il seme fecondo del dovere e del diritto egualitario tra tutti gli uomini della terra. Sì, forza, luce e calore roteante nell’aria con perfetto ordine distributivo dentro e d’intorno a tutte le cose del nostro pianeta, tu sei grande quanto la virtù coraggiosa del sommo Socrate e indulgente come Cristo verso i suoi incoscienti flagellatori.

O Sole
, se i tuoi miscredenti si ostinano ancora di guardare affannosamente oltre il tuo verificabile regno, in cerca di chissà quale altro volto migliore del tuo, gli è perché essi non vedono ancora gli effetti realistici del tuo immenso valore della vita. Nella tua grande opera di donatore meraviglioso di vigorie, tutte le cose e le specie viventi, a te salgono pure le esili piante delle profonde vallate fredde, per ricevere la trasfusione benefica del tuo caldo bacio. Tu, o pupilla radiosa del nostro pianeta, pur marciando superbamente verso il tuo spazio infinito, non trascuri di allungare di lassù una calda carezza d’amore sostanzioso sulle messi d’oro dell’infaticabile contadino, perché dei suoi sudati prodotti si nutrisca l’ineffabile genere umano, compreso coloro che per una millenaria frode di diritto assoluto di razza superiore, ripudiano le mani callose di questo nobile eroe della terra…

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Oh sublime quintessenza dell’umana ragione dei forti, oh ineffabile placenta egualitaria di tutte le madri del genere umano, perché pochi furfanti della terra, nati forse da madri impure, debbono ancora arrogarsi il diritto di offendere impunemente e le leggi sacre della natura e chi porta loro il pane onesto del suo lavoro? Oh quanti miliardi di questi “perché” si potrebbero elencare intorno a questo problema della disuguaglianza economica umana per non dar torto alla grande e legittima difesa dei diseredati d’ogni bene comune!…
Grazie, o sole raggiante della vita: la tua smisurata compiacenza d’amore ugualitario per tutte le creature umane e animali delle terra, mi colma d’animo socialista di una profonda commozione di gioia!
Tu che vai maestosamente verso l’infinito spazio del tuo libero mondo per illuminare senza parsimonia le strade per i viandanti sfortunati della vita, permettimi di dirti ancora: Se al di là del tuo potente anello calamitico, vi sono altri soli che equilibriano intorno a sé altri pianeti, perché in tutti i secoli dei secoli, queste forze esterne non ingelosiscono ancora i confini del tuo regno? No, mio buon cittadino della terra – risponde pacatamente il sole – Io non sono la forza bruta, il dominio violento sui deboli, il megalomane ambizioso di folli conquiste di altri continenti per renderli schiavi al mio pazzo orgoglio. No! La mia potenza acquisita senza guerre, senza odio e senza squilibri dei vinti e dei vincitori, non sta nella sottomissione forzata dei vinti, ma nella loro completa autonomia libera…
Grazie, grazie assai, o sole, benedetto da tutti i tuoi onesti credenti, la tua sconfinata struttura democratica è meravigliosa! Che sotto i tuoi munifici raggi prodigiosi si riscaldino pure esseri orrendi in sembianze umane, assassini impuniti di grandi uomini politici, amanti indefettibili della libertà, furfanti adulatori di feroci dittatori sanguinari, guastatori senza scrupoli di giovinezza ignara d’insidie criminose, per distruggere col ferro e col fuoco le libertà dell’uomo pensatore di grandi cose e il diritto civile di un popolo produttore di immense ricchezze, spie ignobili e sicari armati al servizio cieco di grossi criminali della terra, ladri senza ritegno dei beni dell’umana collettività e provocatori di spaventose guerre nazionali e continentali.
Di tutto questo orrendo squilibrio umano, a te, o grande sole, non riguarda affatto. No! Questo è un problema che va risolto e dai popoli oppressi e da tutti gli uomini dotati di una grande forza di volontà. Ad essi spetterà l’arduo impegno di stingere dalle profonde radici questa purulenta macchia nera che tende ad allargarsi sempre più nociva nel quadrante dell’umanità anelante di pace, di giustizia e di libertà!
Sole, in virtù della tua grande democrazia raggiante di vita palpitante su tutte le cose e gli esseri del nostro pianeta, permettimi, in questo dodicesimo Primo Maggio del lavoro italiano, oltraggiato brutalmente dalla dittatura fascista, di volgere, attraverso le onde libere dell’aria, a tutti i miei compagni di lotte clandestine antifasciste, vicini e lontani, ai sepolti vivi delle galere, ai deportati nelle isole lontane, ai lavoratori silenziosi ed offesi dallo squadrismo armato di Mussolini, un vigoroso saluto augurale, perché presto ci incontreremo nelle nostre piazze per ripetere ancora, come rito immortale del Primo Maggio libero del lavoro, il fatidico canto del gentil poeta Pietro Gori:

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Giovinezza, dolori, ideale,
primavera dal fascino arcano,
Verde Maggio del genere umano,
date ai petti il coraggio e la fè.

Date fiori ai ribelli, caduti
collo sguardo rivolto all’aurora,
Al gagliardo che lotta e lavora,
al veggente poeta che muor

Dai monti guardando il mio paese senza libertà, Primo Maggio 1934.

Ascolta Inno del Primo Maggio (1892 – Pietro Gori) cantato da Antonio Gravina, detto Rignanese, bracciante di San Nicandro Garganico.

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