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Nel libro di Viola Ardone Il treno dei bambini (Einaudi 2019), che pure evidenzia, quasi in ogni pagina, riferimenti diretti a storie e avvenimenti reali del secondo dopoguerra italiano, manca, come ci si aspetterebbe, una nota finale con le fonti storiche o i testi da cui l’autrice ha tratto ispirazione diretta: mancano ringraziamenti a chi prima di lei proprio questi avvenimenti e storie ha vissuti o ricercati, scoperti e raccontati.

In queste brevi note (qui stai leggendo la parte 1 e la parte 2 – qui la parte 3), proviamo quindi a rintracciare (estraendo dai testi solo brevi citazioni) gli aneddoti, gli episodi, i personaggi, così come erano stati già raccontati e descritti in testi editi precedenti il romanzo, mettendoli in diretta corrispondenza con il testo romanzato.

PARTE 1 – “Macchiaroli”

In questa prima parte riportiamo le corrispondenze (le più evidenti) tra il romanzo di Viola Ardone e il racconto di Gaetano Macchiaroli (1920-2005), che fu grande intellettuale, filologo, illuminato editore e libraio, militante e dirigente del Pci napoletano, oltre che protagonista indiscusso del Comitato per la salvezza dei bambini di Napoli, principale responsabile dei trasporti che portarono, su treni speciali, migliaia di bambini napoletani delle famiglie più povere nelle case delle famiglie ospitali del centro-nord Italia.

Il testo di Gaetano Macchiaroli, preso come riferimento, è Un’esperienza popolare del dopoguerra per la salvezza dei bambini di Napoli, Arte Tipografica, Napoli, 1979; riportato quasi integralmente nel volume Cari bambini, vi aspettiamo con gioia…, a cura di Angiola Minella, Nadia Spano, Ferdinando Terranova, Teti editore, Milano 1980 [di cui si indicano di seguito le pagine relative agli stralci]

“I bambini all’Albergo dei poveri”

MACCHIAROLI p. 75
I bambini affluivano all’Albergo dei poveri per le docce e per la colazione calda. Lì ricevevano i cappotti che ci aveva fatto avere il ministro per l’assistenza post-bellica, Emilio Sereni. Distribuiti i cappotti secondo le “taglie”, le compagne dell’Udi cucivano i numeri corrispondenti agli elenchi e alle schede sociosanitarie che avrebbero seguito i bambini.

ARDONE p. 23
Dice mia mamma Antonietta che è l’Albergo dei Poveri. (…) Mia mamma dice che siamo venuti qua perché prima di mandarci nel Settentrione ci devono visitare, se siamo sani, se siamo malati, se siamo infettivi…
– E poi, – dice, – ci devono dare i vestiti pesanti, i cappotti e le scarpe (…)
Davanti all’entrata ci sta una signorina (…) Dice che ci dobbiamo mettere in fila, che ci devono fare i controlli e poi ci devono cucire il numero per riconoscerci…

“I bigliettini dei padri”

“l’Unità” domenica 20 gennaio 1946
I papà invece sono dignitosi. Danno disposizioni: “Non ti far togliere il posto… Ricordati il fazzoletto… Metti a posto il pacchetto…”. Hanno segnato su alcuni biglietti le abitudini dei loro bambini, per coloro che li ospiteranno. Uno diceva: “Il bambino di solito va a letto alle undici, perché a casa siamo abituati male. Bisogna svegliarlo durante la notte, perché altrimenti fa la pipì a letto. A casa mangiava poco perché ce la passiamo piuttosto male. Certamente da voi mangerà di più…”.

Cari bambini… p. 54 (viene indicato che le notizie sono tratte da l’Unità del 20 gennaio 1946)
I papà sono dignitosi e danno disposizioni ai figli: “Metti a posto il pacchetto… non farti prendere il posto”… Nonostante ogni bambino abbia una schda ricca di dati e suggerimenti indicativi per la famiglia che lo ospiterà, molti genitori hanno segnato su bigliettini le abitudini dei bimbi: “Il bambino va a letto un po’ tardi; bisogna svegliarlo di notte, se no fa la pipì a letto”… “Il bambino qui da noi mangia poco e male, speriamo che da voi sia diverso”…

ARDONE p. 22
Ci stanno pure dei padri, ma si vede benissimo che non ci volevano venire. Uno di loro ha scritto sopra a un foglio tutte le avvertenze per il figlio: a che ora si sveglia, a che ora si va a coricare, che cosa gli piace mangiare, che cosa no, quante volte va di corpo a settimana, di lasciare un’incerata sotto al lenzuolo perché la notte se la fa addosso. Legge la lista mentre il figlio si mortifica davanti a tutti e alla fine gliela infila, piegata in quattro parti, in una tasca cucita dentro la camicia.

“Lo scambio dei cartellini”

“l’Unità” domenica 20 gennaio 1946

Ci hanno raccontato di una bambina che si è svegliata alle sei. ”Non si parte?” La madre risponde di no, che è ancora presto. Alle sette la bambina torna di nuovo alla carica: non resta che alzarsi. Alle nove madre e figlia sono di già alla stazione. Quando è sul treno la bambina comincia a diventare inquieta. Si volge, si rivolge infine scoppia in pianto. La madre non capisce più niente. La bambina viene fatta scendere, viene portata in un angolo. Un po’ dolce e un po’ severa la madre cerca di calmarla. Che succede? La bambina non vuole più partire.
Al finestrino del vagone vicino intanto due fratellini si salutano. Il bambino che rimane, un ragazzetto forzuto con un viso tondo come una mela, viene issato fino allo sportello. Bacioni che non finiscono mai: infine quando i genitori si decidono a interrompere lo sbaciucchiamento, il ragazzo non vuole più scendere, si aggrappa al finestrino, con tutte le forze. Che succede? Il ragazzo vuole partire anche lui.
Conclusione: viene staccato un cartellino, vengono cambiati alcuni nomi sui fogli: il ragazzo dal viso come una mela prenderà il posto della ragazzina che non vuol partire e tutti saranno contenti (salvo la madre della bambina che se ne andrà via minacciando: “Non te la perdono!”).

ARDONE p. 26
Una femminuccia bionda, che finora aveva dato il tormento a sua mamma perché voleva salire sopra al treno, ha cambiato idea e piange che non vuole andare più. Un maschietto un poco piú grande di me con un cappello marrò, venuto solo per accompagnare il fratello, dice che non è giusto che lui deve restare qua mentre il fratello se ne va a divertirsi, e piange pure lui. Volano allucchi e paccheri, ma niente, i pianti continuano e le mamme non sanno più a quale santo votarsi. Alla fine arriva una delle signorine con gli elenchi, cancella il nome della femminuccia bionda, scrive il nome del maschio con il cappello marrò e accontenta tutti quanti. Tranne la mamma della bambina bionda, che se la porta via dicendo: a casa facciamo i conti.

“Gli autobus e i gipponi”

MACCHIAROLI p. 75
L’azienda tranviaria, [offrì] gli autobus per i trasporti. Anche la questura, nei casi di necessità non rifiutò i “gipponi”, che persero il loro grigio aspetto militare e attraversarono la città sorpresa come festose macchine da luna park.

ARDONE p. 25
Continuano ad arrivare altre creature: alcune a piedi, altre sopra agli autobus offerti apposta dall’azienda tramviaria, come racconta una signora a fianco a noi, altri addirittura sui gipponi della polizia. A vederli così, senza soldati e pieni di bambini che salutano e di striscioni colorati, mi sembrano i carri della festa di Piedigrotta.

“La Pachiochia”

MACCHIAROLI p. 79
In contrasto con il soprannome, “la Pachiochia” era una donna combattiva, un capopolo. Con il ritratto di Umberto di Savoia sul petto si era distinta l’11 giugno 1946 nell’assalto alla federazione comunista e tuttora godeva di grande prestigio anche perché nella sua zona e a Napoli la monarchia aveva vinto.

ARDONE p. 26
…davanti a un gruppo di femmine che cammina in processione, ci sta la Pachiochia. Muove le braccia in aria e grida con tutto il fiato che ha in gola. Tiene appuntata in petto con gli spilli l’immagine di re Umberto. (…)
Disse la Pachiochia che lei era mo-nar-chi-ca. E che i comunisti avevano mandato tutto sotto sopra e mo non si capiva più niente.

“I cappotti lanciati dai finestrini del treno”

MACCHIAROLI p. 75-77
Invece non avevamo previsto che alla stazione le madri avrebbero sottratto i cappotti ai loro figli in partenza per darli ai fratelli che rimanevano a casa. Ai partenti avremmo pensato noi e le famiglie ospiti! (…)
Per fortuna le madri avevano sottratto i cappotti quando i bambini erano già entrati nei vagoni secondo il “menabò” e se li erano fatti lanciare dai finestrini. Evidentemente fu una sorpresa per noi, ma non per i figli che dovevano essere stati rapidamente istruiti, tanto veloce fu l’operazione. (…)
Così mentre i ferrovieri aggiungevano un secondo carro riscaldatore, telegrafai alle stazioni di Bologna e di Modena…

ARDONE p. 41-42
Allora le mamme fuori al treno incominciano a muovere le braccia avanti e indietro e io ci credo che ci stanno salutando. Invece no.Tutte le creature sopra al treno si sfilano i
cappotti e li buttano dai finestrini per darli alle mamme (…)
– Questo era il patto: i bambini che partono lasciano i cappotti ai fratelli che restano, perché nell’alta Italia l’inverno è freddo, ma pure qua non è che fa caldo. -E noi? – dico io.
– A noi i comunisti ce li dànno un’altra volta, tanto loro sono ricchi e se li possono permettere (…)
…[i ferrovieri] alla fine decidono che attaccheranno al treno un altro carro riscaldatore per alzare la temperatura.

La nuova identificazione dei bambini”

MACCHIAROLI p. 77
Disponemmo che nessun trasferimento fosse consentito e così il riconoscimento vagone per vagone fu semplificato. Dopo qualche ora i bambini erano di nuovo “numerati”, secondo gli elenchi, tranne pochi che non dissero il loro nome. (…) Ricavati dalle liste i nomi non identificati, pazientemente interrogando o pronunziandoli ad alta voce se mai qualcuno istintivamente si voltasse a sentirsi chiamare, completammo gli elenchi. Quando all’ultimo bambino individuato per esclusione, domandammo perché ci avesse fatto tanto penare, ci rispose: “aveva esse fesso a ddicere o nomme mio”.
Capimmo così che non di un timido o subnormale si trattava, ma di un piccolo aiutante del contrabbando, istruito a non dire mai il suo nome o la sua abitazione.

ARDONE p. 45
…adesso vi dobbiamo identificare daccapo. Qua ci stanno gli elenchi con tutti i bambini, vagone per vagone, – e ci chiede nome, cognome, paternità e maternità. Rispondiamo a turno e ci mettono il cartellino con il numero sulla manica. Quando tocca al biondo senza denti, il compagno Maurizio gli deve chiedere il nome due, tre volte, e quello niente. Fa finta di essere sordo e muto. Lui prova a chiamarlo in tutti i modi per vedere se si gira: Pasquale, Giuseppe, Antonio, ma niente, così alla fine si scoccia e passa allo scompartimento a fianco. – Ma perché facevi il sordomuto? – chiede Tommasino. – Gli hai fatto perdere la pazienza a quel poveretto -. Il biondo fa un sorriso cattivo: – Dovevo essere fesso, a dire il nome mio! – (…)
[Mia mamma] mi ha insegnato che noi che stiamo dentro al contrabbando il nome nostro, dei parenti nostri e dove stiamo di casa non lo dobbiamo dire a nessuno, nemmeno sotto le bombe. Soprattutto alle guardie!

“La frenata d’emergenza”

MACCHIAROLI p. 77
…ci disponevamo a un meritato risposo, ma uno stridio di freni e una fermata fuori programma ci tolsero subito questa illusione. Un bambino, salendo e scendendo dalla mensola portabagagli – passatempo fra tutti preferito -, aveva fatto una mossa falsa e per non cadere si era aggrappato alla prima sporgenza, cioè alla maniglia del segnale d’allarme, provocando l’arresto del treno.

ARDONE p. 48-49
Proprio mentre sto per prendere sonno, sento un rumore che mi fa arricciare la pelle, come di unghie sul fondo della pentola. Il treno si ferma di botto e tutti cadiamo in avanti, uno addosso all’altro. (…) La porta dello scompartimento si spalanca, nessuno parla, nessuno respira e rimaniamo tutti immobili.
–Chi è stato a tirare la maniglia dell’allarme?

“Puzziamo di fame”

MACCHIAROLI p.78
Venuto meno il giuoco dell’allarme ci fu un vuoto d’interesse che i bambini non tardarono a riempire, per vincere la noia, organizzando una protesta al grido di: “Fetienti, cca ce puzzammo r’a famma”.

ARDONE p. 54
– Signurì, – dice poi il biondo senza denti, – ma quando arriviamo ci fanno mangiare qualche cosa? Io mi sto puzzando di fame, peggio che a casa mia…

“La Pachiochia ospite in Emilia”

MACCHIAROLI p. 79
Era nota come donna estroversa e leale e questa sua fama ci indusse a invitarla in Emilia perché vedesse e riferisse la verità. L’invito fu pubblico, come ogni avvenimento nei quartieri, e “la Pachiochia” non poteva non accettare la sfida. In Emilia fu ricevuta da dirigenti amministrativi e politici che la trattarono alla pari, come uomini e donne del popolo che lottavano per le cose che “la Pachiochia” in fondo voleva, ma dalla parte giusta. Vide come “l’Emilia rossa”, bersaglio preferito delle calunnie monarchiche, aveva accolto i figli di Napoli e ne fu conquistata.

ARDONE p. 129-130
[Derna] Dice che abbiamo un’ospite importante, una donna intelligente che ragiona senza pregiudizi e che è stata invitata per potersi sincerare personalmente delle condizioni dei bambini dei treni. Che ha affrontato un viaggio lungo per portare notizie alle mamme della sua città. (…)
la Pachiochia prende il microfono e inizia a gridarci dento. Dice che è contenta dell’invito, che lei al principio in verità aveva qualche dubbio su questo fatto dei treni ma, adesso che sta qua e ci vede tutti grassi e ben vestiti, si sente anche lei un poco comunista, pure se resta monarchica, per devozione.

“Il carro allegorico Nord-Sud alla festa di Piedigrotta”

MACCHIAROLI p. 81
[il carro per la festa di Piedigrotta] Venne fuori un bozzetto dal titolo “Nord-Sud”: un simbolico ponte attraversato da un treno univa il Vesuvio alle Due Torri, Napoli a Bologna e altre città che avevano ospitato i nostri bambini. (…) L’esperienza dell’Ilva fu esaltante. La cooperativa operaia ci mise a disposizione un grande autotreno sul quale montare il carro.
(…) Ma una pioggia torrenziale distrusse quasi tutti i carri; il nostro che aveva strutture metalliche, resistette.

ARDONE p. 154-156
In mezzo alla via hanno montato le luminarie per la festa di Piedigrotta. (…)
Per Toledo c’è più folla di prima. Vanno tutti verso piazza del Plebiscito a vedere la chiesa coperta di luminarie e i carri pronti per la sfilata. Mi ha detto la Pachiochia che molti li ha rovinati la pioggia, ne sono rimasti solo tre o quattro, e uno di quelli che hanno resistito si chiama Nord-Sud, l’ha fatto costruire il Comitato per la salvezza dei bambini degli operai dell’Ilva per celebrare il viaggio nostro dentro ai treni. (…)
p. 165 E il primo carro che vedo è proprio un treno, con la locomotiva e i vagoni…

PARTE  2 – “Buffardi” e “Cappiello”

In questa seconda parte riportiamo le corrispondenze (e/o le ‘coincidenze’ più evidenti) presenti nel romanzo di Viola Ardone e nei lavori di Simona Cappiello, ricercatrice e regista, autrice (con Manolo Turri Dall’Orto) del documentario Gli occhi più azzurri. Una storia di popolo (Napoli 2011), ripubblicato in dvd allegato al libro nel 2018, e di Giulia Buffardi, direttrice dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza, dell’Antifascismo e dell’Età contemporanea, autrice del saggio storico “Quel treno lungo lungo…” Il “Comitato per la salvezza dei bambini di Napoli” 1946-1947 (Libreria Dante & Descartes, Napoli 2010 – e nuova edizione Il comitato per la salvezza dei bambini di Napoli 1946-1954, Editori Riuniti, Roma 2016).

“Il treno dei bambini” – “Le canzoni”

Le prime “coincidenze” tra il documentario – e il libro – di Simona Cappiello e il romanzo di Viola Ardone, riguardano la stessa definizione “Treno dei bambini” e le due canzoni che si ripetono nelle due opere. Il documentario si apre con tanti ritagli dai giornali dell’epoca: “Buon viaggio al “Treno dei bambini”, “Il secondo ‘Treno dei bambini’ giunto felicemente a Bologna e a Modena”, “Il Terzo Treno dei bambini…”, così come le ‘colonne sonore’ del documentario e del romanzo ripropongono le due canzoni popolari politiche Bella Ciao e La lega (Sebben che siamo donne).

“Gli occhi azzurri della/del protagonista”

CAPPIELLO, Gli occhi più azzurri (il titolo del documentario è riferito proprio agli occhi della sua principale testimone protagonista)
p. 17 Quando viene il suo turno Paola sussurra il suo nome con un filo di voce che nessuno sente e Michele è costretto a ripeterlo lui. “Che begli occhi” dice la sorvegliante alzandole il mento con un dito, “più azzurri del cielo”.

ARDONE (Amerigo ha gli occhi blu, capelli rossi e lentiggini)
p. 132 [Amerigo mentre osserva una foto] Il ragazzo nella foto era magro e con la faccia allegra. Mi ha detto Rosa che io gli somiglio. Dice che pure lui aveva gli occhi blu.
p. 208 [Amerigo si osserva allo specchio] Gli occhi sono gli stessi, non sono cambiati: di un blu denso, venuti da chissà dove.

“Le suore, i comunisti, Dio e la Russia”

CAPPIELLO, Gli occhi più azzurri (sequenza nel documentario)
Le voci delle testimoni Luciana Viviani e Lina Porcaro sulle immagini di suore in un mercatino: Le parrocchie si mobilitarono tutte contro l’iniziativa spaventando le famiglie e dicendo che i bambini andavano in Russia.
Allora i comunisti erano il terrore, tagliavano le mani ai bambini.
Titolo da un ritaglio di giornale: “Ora che ho visto – dichiara una mamma di Napoli – ora… chella capa ‘e pezza adda fa ‘e cunte cu mme.”
Fotografia di un basso napoletano con una mamma e i suoi figli; sul muro alle spalle, in alto, un manifestino “Chi vota Comunismo Vota contro DIO”

ARDONE p. 10
…a casa nostra viene una suora, la manda padre Gennaro. Mia mamma spia da dietro ai vetri: – E mo che vuole questa capa ‘e pezza?
La suora bussa un’altra volta, così mia mamma posa il cucito e va ad aprire, ma giusto uno spiraglio, ché quella riesce a infilare nella porta solo la faccia, tutta ingiallita. La capa ‘e pezza chiede se può entrare, mia mamma fa sì con la testa, ma si vede che non tiene proprio genio. La suora dice che mia mamma è una buona cristiana, che Dio vede tutti e ogni cosa e che le creature non appartengono né alle madri né ai padri, sono figlie di Dio. Quelle comuniste invece vogliono che partiamo col treno per andare in Russia, dove ci tagliano le mani e i piedi…

“Piazza Garibaldi”

CAPPIELLO, Gli occhi più azzurri p. 15
I binari di piazza Garibaldi sono ricoperti di macerie, le rotaie distrutte dai bombardamenti, i detriti accumulati negli angoli a formare colline compatte e aride.

ARDONE p. 37
I binari di piazza Garibaldi sono ricoperti di macerie e molti treni sono stati distrutti dai bombardamenti.

“I bambini e il tracoma”

CAPPIELLO, Gli occhi più azzurri (documentario)
Voce f.c. Arrivammo alla stazione che era ancora notte. Trovammo una gran folla. Alcuni bambini si battevano il petto gridando “ie tenghe u tracoma, ij tenghe u tracoma!” quasi fosse un requisito per partire, invece che un’infezione agli occhi.

ARDONE p. 34
Invece altre creature vogliono partire a forza. – Io tengo il tracoma, io tengo il tracoma, – gridano, come se invece di una malattia fosse un terno al lotto. Così tutti quelli che li sentono alluccano pure loro: – Il tracoma, teniamo il tracoma, – perché si credono che senza il tracoma non li fanno salire più sopra al treno.

“Le castagne e la mela”

CAPPIELLO, Gli occhi più azzurri (documentario – libro p. 47)
Paola: Mia mamma mi accompagnò alla stazione e riuscì a comprare nu coppitiello, di castagnette. Me le dette…
[animazione: bimba sola in treno col coppitiello di castagne stretto tra le mani]
E ricordo che quelle castagne non le ho mai mangiate. Poi non ho mai più potuto mangiare castagne.

ARDONE
p. 40 Dal finestrino mia mamma mi passa una mela. Piccola, rossa, rotonda. Un mela annurca. Me la conservo nella tasca dei pantaloni. Penso che non me la mangerò, tanto che è bella.
p. 188 La mela la lasciai avvizzire sulla mia scrivania, nella casa di Derna. Non volevo mangiarla per tenere vivo il tuo ricordo…

“Maurizio Valenzi sul treno”

CAPPIELLO, Gli occhi più azzurri p. 36
Testimonianza diretta di Maurizio Valenzi [che riferisce a Simona Cappiello di aver accompagnato in treno, in un solo caso, i bambini]:
In uno dei viaggi Litza fu sostituita da Maurizio Valenzi: “Volevano qualcuno della federazione come responsabile politico che andasse lì ogni volta e quindi ci alternavamo, chi fece molto, allora, fu Macchiaroli. (…) e quella volta lì sono andato io”.

ARDONE p. 44
Nello scompartimento entra il compagno Maurizio insieme a uno secco e lungo, con le lenti [Gaetano Macchiaroli]

“La neve che sembra ricotta”

BUFFARDI, Quel treno lungo lungo… p. 36
…e la meraviglia suscitata dalla visione della neve (“quanta ricotta! Ha detto una bambina, vedendo la neve”) [citazione da “la Verità” 15 febbr. 1947]

CAPPIELLO, Gli occhi più azzurri (documentario)
Voce f.c. legge lettera: Una donna mi portò una coperta, io finalmente al caldo, alzai gli occhi e cominciai a guardare fuori. Quando arrivammo a Modena, io stavo dormendo, mi svegliarono le grida di tutti, degli altri affacciati al finestrino. “Guarda quanto latte – dicevano – No, è zucchero – disse un’altra. “Non dire scemità – intervenne uno – quella è ricotta”. I bambini di Napoli, la neve, non l’avevano mai vista.

ARDONE p. 53
– ‘A ricotta… ‘A ricotta.
Mariuccia mi viene a svegliare gridando. – Amerigo! Amerì… Scètati, ci sta pieno di ricotta a terra. Per la strada, sopra agli alberi, sopra alle montagne! Piove ricotta!
La notte è finita e dal finestrino arriva un po’ di sole.
– Mariù, ma quale provola e ricotta? È la neve.

“Il buco nella mortadella”

BUFFARDI, Quel treno lungo lungo…, p. 125-126 [testimone Maria Porcaro]
Ricorda ancora l’abbondanza di cibo, “il ben di Dio, mortadelle e salumi appesi alle travi della cucina”. Un giorno, anzi, mise due sedie l’una sull’altra e con un coltello fece un buco in una mortadella.
La nonna, avvertita dal nipotino, anziché rimproverare la bambina, con tanta dolcezza le disse che un’altra volta sarebbe bastato chiederla la mortadella, ma non correre il pericolo di una brutta caduta.

CAPPIELLO, Gli occhi più azzurri (documentario)
animazione: Si vedono le mortadelle appese alle travi del soffitto. La bambina protagonista le guarda dal basso, sale su una sedia e infila un dito in una di esse per assaggiarla.

ARDONE
p. 87 In un angolo della cucina, mezza nascosta dietro la credenza, ci sta una scala. (…) Sento il legno delle travi tiepido e ruvido. I salami appesi mi carezzano la faccia, il loro profumo mi entra nel naso e mi si fa l’acquolina in bocca. Ci sta pure quel prosciutto rosa con le macchie che ci hanno dato alla stazione. Chi l’ha visto mai tutto quel ben di dio. Con l’unghia gratto un poco sulla scorza fino a che non tocco la carne tenera. Spingo il dito, lo tiro fuori e me lo infilo in bocca. (…)
– Làder! – sento gridare alle mie spalle. – Sei venuto a rubare la roba nostra. (…) Luzio mi guarda, poi alza gli occhi per controllare i buchi nella mortadella e li abbassa di nuovo su di me.
p. 105 – Sono io il ladro della mortadella.
Rosa mi carezza la fronte, mi passa le dita sugli occhi, come per togliere le lacrime. – Non ci sono ladri in casa nostra –. Mi prende per mano e mi riporta dentro.

“Il ritratto di gruppo con le mani alzate”

CAPPIELLO, Gli occhi più azzurri p. 34
Aude Pacchioni, presidente provinciale dell’UDI di Modena nel ’50, si ricorda di una foto fatta con tutti i bimbi ospitati al nord che salutavano, le manine bene in vista, proprio per rassicurare i parenti al sud che i comunisti non avessero loro tagliato le mani.

ARDONE p. 131
Alla fine della festa, ci fanno pure il ritratto. – Sorridete, – dice il fotografo. Ma la Pachiochia non è ancora contenta. – Aspettate! – Si gira verso di noi e ci ordina di alzare tutte e due le mani. – Così le malelingue non potranno più dire che ve le hanno tagliate!

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