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Il racconto di Nadia Corticelli, a cura di Giovanni Rinaldi
Mio padre Bruno Corticelli era nato nel 1921 a Crespellano, proveniva da una famiglia antifascista, ed era entrato in ferrovia prima della guerra come atleta. Nel 1943 la sua famiglia si trasferì a Calderara di Reno dove conobbe Loredana Armaroli, che viveva da una parente benestante senza figli, affidata a lei dai suoi genitori poverissimi perché potesse vivere un po’ meglio. Durante la guerra in questa casa si insediò il comando tedesco. Mia madre aveva 16 anni quando conobbe mio padre – che ne aveva 18 – e appena lui, dopo l’8 settembre del ’43, si fece partigiano lei divenne staffetta delle formazioni partigiane della zona. Dalle riunioni nella sua casa di Borgo di San Vitale di Calderara, che divenne cellula clandestina, Bruno in breve tempo diventò vicecomandante della 63a Brigata Bolero nel battaglione Zini.
Dal canto suo, mia madre Loredana, nascostamente dalla famiglia e dal comando tedesco che aveva in casa, lavorava per la Resistenza. Aveva un volto da ragazzina ingenua e timida, mia madre, ma la notte dormiva con le bombe a mano sotto il cuscino, sotto il letto, e con la sua bicicletta portava ai partigiani i volantini della stampa clandestina, viveri, medicinali. Abitando in una casa sede del comando tedesco godeva di una certa “immunità” e superava i posti di blocco senza troppi problemi. I loro nomi di battaglia erano Marco e Dana.
Mio padre nelle sue memorie ha scritto che le donne, che di solito chiamiamo “staffette”, svolgevano un ruolo pericolosissimo e delicato, essenziale per la lotta partigiana e le definiva “valorose ragazze, partigiane come noi uomini”.

Quando si sposarono si stabilirono a Bologna in una casa delle Ferrovie. Fu in quella casa, nel 1947, che ospitarono i bambini di Napoli. Abitavano al triangolo – o villaggio – dei Ferrovieri di via della Campagna a San Donato, quartiere operaio, in una zona periferica racchiusa da alti argini, su cui si smistavano i treni. Attorno era tutta campagna, un posto tranquillo. Ospitarono due bambini napoletani, Amelia e Luigi Frenda, che venivano dalla zona di Bagnoli.


Luigi e Amelia Frenda erano arrivati sicuramente col primo scaglione di 1000 bambini partito da Napoli il 29 gennaio 1947 (considerando la data della cartolina di ringraziamento inviata a Bruno Corticelli al loro rientro a Napoli). Soggiornarono a Bologna per circa due mesi e mezzo.
Il loro arrivo a Bologna lo racconta su “La Voce” del 31 gennaio Alberto Jacoviello, inviato speciale del giornale che seguì il viaggio del “treno dei bambini”: “A Bologna è una festa. Siamo arrivati alle 20,30 con alquanto ritardo ed a riceverci sono centinaia di persone. Ci sono le madri di Bologna, con grandi coperte, caffè e latte, grandi autobus ci attendono. Il sindaco Dozza è il primo a dare il benvenuto ai bambini di Napoli. Abbiamo deciso di fare scendere domattina i bambini perché fa troppo freddo. Il treno è adagiato su un binario. È divenuto meta di un pellegrinaggio continuo. Passeremo ancora una notte con tutta questa gente che vuole stare con i bambini di Napoli. Domattina il treno partirà per Modena. Trecento bambini cominceranno a Bologna domani una vita nuova. Staranno bene con questa gente. Saranno felici. Lo hanno capito anche loro.“
I miei erano poveri, ma meno di loro, poveri bambini napoletani. Amelia, la più grande, andò in casa dei miei nonni, mentre Luigi dai miei genitori. Loro mi raccontarono che l’unico problema fu di comprensione per via dei dialetti, ma solo all’inizio, perché l’ostacolo fu superato velocemente.
Luigi era uno sbandêren (come diciamo qui a Bologna, un birichino, uno scugnizzo), era vivacissimo e mia madre, che non aveva ancora avuto figli, cercava di barcamenarsi come meglio poteva, anche perché mio padre, comunista, era sempre alle prese con gli altri attivisti del Partito.
Luigi un giorno, per dimostrare la sua gratitudine, portò a mia mamma un cestino ricolmo di uova prese dal contadino. Mio padre pur riconoscendo la sua generosità, gli fece capire che non fosse una buona azione, e perché ne prendesse atto, per mano lo condusse dal contadino per restituirle. Al contadino fu spiegata la situazione, e lui ne fu così sorpreso e riconoscente da regalargliene alcune. Luigi così non fu mortificato, anzi ne andò molto fiero.
Del periodo dei bambini ospitati non so molto, ricordo questi episodi perché me li raccontava mio padre, col sorriso, e so che per tanti anni è andato a trovarli a Bagnoli.
Avevo anche cercato di rintracciarli, ma con i pochi elementi che avevo non ci sono mai riuscita, però ho avuto una soddisfazione: ho incontrato una ragazza a cui ho raccontato questa storia e anche il suo babbo – che ora vive qui a Casalecchio di Reno a un passo da me – era stato uno di quei bambini. È stato molto bello.
Sono nata dopo l’arrivo di Amelia e Luigi, ma ho sempre avuto il culto di Napoli anche da bambina; cantavo le canzoni napoletane – che allora non erano proprio di moda -, qualcosa quel bambino deve aver lasciato anche a me. E dopo i bambini napoletani, furono ospitati anche quelli dell’alluvione del Polesine.
Poi per mio padre arrivò la chiamata del Partito, quindi lui si licenziò e dallo stipendio sicuro che aveva passò a non averne nessuno, perché il partito comunista non aveva soldi per uno stipendio. Mia madre andò quindi a lavorare, partendo dai lavori più umili, cominciando col pulire i gabinetti, perché lui non voleva che facesse la richiesta per lavorare come bidella per non essere criticato dal partito.
Non lavorando più in ferrovia furono sfrattati dalla vecchia casa delle Ferrovie, riuscendo ad ottenere comunque un’altra casa popolare, dove erano tutti compagni. Quella casa fu aperta a tutti quelli che non avevano casa, a quelli dell’Est che venivano in Italia come ospiti (dirigenti sportivi di calcio o pallacanestro provenienti da Praga o Lubiana con famiglia e figli al seguito), tanto che a volte, quando rientravo tardi, non sapevo dove andare a dormire.
Mio padre Bruno se n’è andato nel 1984, è commovente quanto sia ancora ricordato, gli hanno intitolato luoghi e commemorato su targhe. Gli hanno dedicato tante cose. La storia di Marco e Dana è una bella storia e di questi tempi mi piace ricordarla, l’ho scritta anche in un libro che tengo da anni in un cassetto, non so se mai lo finirò. Sono comunque impegnata, insieme a un gruppo di persone che hanno avuto familiari partigiani, con l’ANPI Bologna, a raccontare ai ragazzi nelle scuole che cosa è stata la Resistenza.

NOTE
Il testo è rielaborato a partire dal dialogo in chat con Nadia Corticelli e da alcune informazioni contenute nell’intervista video La storia di Loredana Armaroli e Bruno; nel video Nadia Corticelli racconta la storia dei suoi genitori, Loredana Armaroli e Bruno Corticelli; il video è realizzato da “YOUNET” nell’ambito del programma WORTH (Women in Resistance in the 20th century – Donne nella Resistenza del XX secolo) fondato dal CERV.
La scheda biografica di Bruno Corticelli nel sito web “Storia e memoria di Bologna”.
La targa in memoria di Bruno Corticelli.
Fotografie dall’archivio privato Corticelli, Bologna.
Articolo Il treno dei bambini accolto festosamente a Bologna di Alberto Jacoviello, in “La Voce”, 31 gennaio 1947, fonte Archivio storico B. Petrone di Antonio Camuso.