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Di questo viaggio dei bambini e bambine di Roma (e non solo) in Danimarca, di cui mi racconta il mio nuovo testimone Enzo Cioccari, se ne è sempre saputo molto poco. La prima testimonianza orale la raccolsi – nello scorso ottobre – da Giovanni Schirru (qui nel mio blog), che partì nell’estate del 1947. Come spesso succede, da una prima testimonianza si arriva, dopo decine di anni di silenzio, per vie e connessioni strane e occasionali, ad altre testimonianze e quello che sembrava dimenticato torna a farsi ricordo e racconto condiviso. La nuova testimonianza diretta è emersa a seguito di un incontro pubblico in una scuola, nel quale ero invitato in videocollegamento a parlare della mia ricerca sui “treni della felicità”. 

Questa occasione di incontro/animazione, che ha permesso di risvegliare una memoria sopita, ho chiesto di raccontarla alla professoressa Anna Stilla (referente del progetto con la collega Laura Casella):         
Mentre in tutto il mondo si ricordavano le atrocità della Seconda guerra mondiale e i treni che, attraverso una fitta rete ferroviaria, trasportarono milioni di persone verso l’annientamento, nella nostra scuola il 26 gennaio 2025 abbiamo parlato di treni di speranza, che hanno salvato, unito, ricucito l’Italia a brandelli del dopoguerra. Abbiamo raccontato ai nostri alunni la favola vera dei “treni della felicità”, organizzati dall’UDI (Unione donne italiane), che trasportarono circa 100.000 bambini affamati del sud Italia (e non solo) verso le famiglie del centro e del nord Italia, che li accolsero come figli, mostrando al mondo una solidarietà esemplare.
Anche il nostro istituto scolastico “Virgilio” ad Anzio-Lavinio si affaccia sui binari di una stazione, è un luogo di arrivi e partenze, in cui si mescolano lingue, culture e tradizioni diverse e in cui si costruisce ogni giorno un’umanità colorata e multietnica. Nella nostra aula magna, gremita di cittadini attenti e partecipi, abbiamo incontrato Isabella Labate e Paolo Cesari che hanno presentato l’albo illustrato “Tre in tutto” (Orecchio Acerbo ed.), un racconto illustrato di questa vicenda quasi dimenticata dalla storia ufficiale.
Abbiamo parlato con Giovanni Rinaldi, lo storico che ha riportato alla luce le testimonianze dei protagonisti di quei viaggi della felicità e ha narrato sapientemente nei suoi libri le loro vicende. Le parole di Giovanni Rinaldi concrete e profonde hanno suscitato emozioni e riflessioni. Ognuno ha ritrovato una parte della propria coscienza nelle storie da lui raccontate. Gli alunni hanno ascoltato con interesse e partecipazione, riportando a casa parole e pensieri.
Il giorno dopo, un’alunna di prima media ha raccontato con stupore di aver scoperto che suo nonno paterno all’età di circa 9 anni era partito in treno da Roma per la Danimarca; erano i primi viaggi organizzati da “Save the children” per i bambini vittime della guerra. Suo nonno, Enzo Cioccari, non le aveva mai raccontato questa storia lunga e avventurosa, ma l’entusiasmo della nipotina, per aver scoperto a scuola i “treni della felicità”, aveva spolverato in un attimo tutti i ricordi nascosti e le emozioni assopite.
Ancora una volta abbiamo scoperto che “la storia siamo noi… siamo noi queste onde nel mare, questo rumore che rompe il silenzio… siamo noi padri e figli…” e che la scuola è uno strumento prezioso della memoria collettiva. (Anna Stilla)

La storia di Enzo Cioccari e del suo avventuroso viaggio in Danimarca

Grazie alla professoressa Stilla ho conosciuto il mio nuovo testimone, Enzo Cioccari, che si è presentato emozionato a scuola, invitato dalla professoressa. Le ha espresso il suo desiderio di “incontrarmi” per raccontare la sua storia, attendendo nei giorni successivi la mia telefonata. Lo abbiamo avuto, questo incontro al telefono, prendendoci tutto il tempo che ci serviva, nel quale con la sua parlata dolce e pastosa, quasi radiofonica, Enzo Cioccari mi ha racconta momento per momento il suo incredibile viaggio.

Enzo Cioccari è nato a Velletri nel 1939, terzogenito di una famiglia composta dai genitori Settimio e Gina Di Lazzaro, dai fratelli Luigi e Duilio e le sorelle Mariateresa e Rosa. Suo padre Settimio fa l’imbianchino, con la passione per la pittura e il restauro. Ma fatica a trovare lavoro in quanto per la sua fede socialista si è rifiutato di tesserarsi al partito fascista. Da disoccupato, a Velletri comincia a lavorare per le suore di un convento. Le suore non gli richiedono la tessera del Fascio e così diventa il loro uomo di fiducia restaurando vecchi dipinti, affreschi, disponibile come un tuttofare. Suo figlio Enzo appare in una fotografia, a due anni, mentre frequenta l’asilo nel convento.
Nei giorni precedenti e successivi allo sbarco degli Alleati ad Anzio, nel gennaio del ’44, Velletri e l’intero territorio circostante vengono bombardati duramente. Gli sfollati da Velletri vengono indirizzati verso Roma, portandosi dietro le loro povere masserizie, a piedi e sui carri.
A Roma, nel quartiere Trastevere, un antico convento francescano diventato dal 1870 caserma dei bersaglieri “La Marmora”, era stato per settant’anni la caserma più popolare di Roma. Poi abbandonata dai bersaglieri, con la guerra e i bombardamenti e il problema drammatico dei senzatetto, la caserma viene occupata dagli sfollati provenienti dalle zone bombardate (soprattutto Castelli Romani, frusinate e Cassino), trasformandosi in uno dei principali campi profughi della città, affollato e caotico.
La famiglia Cioccari, insieme a molte altre, trovò rifugio in questa Caserma. Le condizioni degli occupanti erano tremende, per i locali fatiscenti e l’igiene carente. Ogni famiglia – con la mobilia che era riuscita a trasportare con i carretti – occupava un vano della grande struttura. Tramezzi dividevano gli ambienti più grandi, alcuni di essi finivano per diventare depositi di immondizia. Le famiglie, adulti e bambini, dovevano pensare a sé stesse, reperire generi alimentari, cucinare, lavarsi. I gabinetti erano baracchette all’aperto, le docce separate per uomini e donne e in giorni alternati.
Enzo ricorda che i bambini del campo reagivano a queste condizioni col gioco: correvano dappertutto, facendo anche veloci sortite per le strade di Trastevere dove, tre ani dopo, nella primavera del 1948, ferveva la campagna elettorale e la conflittualità politica tra i due schieramenti in campo: il Fronte Democratico Popolare e la Democrazia Cristiana.
“Mi sembrava stesse per scoppiare una guerra civile” dice Enzo. Ma, in quei giorni convulsi, insieme a un gruppetto di altri bambini del campo, correva da un comizio all’altro alla ricerca dell’oratore più infervorato e che li attirava di più. Un volantino lo impressionò tanto da piegarlo in una tasca per portarlo a casa: da un lato appariva Garibaldi e dall’altro Stalin. A casa, suo padre socialista si mostrò combattuto, e suo figlio gli sentì dire che dopo aver subito Mussolini c’era il rischio di finire sotto Stalin.

Un giorno nella caserma degli sfollati arrivò una delegazione di crocerossine che, visitando ogni famiglia, propose una vacanza all’estero per le bambine e i bambini più bisognosi di cura: sarebbero stati ospitati in Danimarca da famiglie che li avrebbero trattati amorevolmente. Enzo ricorda solo le crocerossine, in quanto identificabili facilmente dalla loro divisa, ma in realtà insieme a loro c’erano le militanti del Movimento di Collaborazione Civica (MCC) e dell’Unione Donne Italiane (UDI) invitate a collaborare a questo specifico progetto di affidamento familiare dal movimento “Save the children” tramite la sezione danese Red Barnet (leggi di più nel mio articolo 1947, bambini italiani ospiti in Danimarca). La vacanza sarebbe durata tre mesi. Dei suoi fratelli e sorelle, Enzo era il più gracile e malandato di salute. Il padre e la madre di Enzo discussero molto prima di decidere. Il padre era contrario e timoroso, la madre disse che bisognava approfittare di quella occasione, proprio per rimettere in salute il piccolo Enzo.

La partenza

Nel pomeriggio del giorno della partenza presso la Caserma giunsero i pulmann per prelevare i bambini e trasportarli a stazione Termini.
Il viaggio in treno fu lungo e faticoso (il convoglio impiegherà numerosi giorni per raggiungere la Danimarca), le fermate tante. Enzo ricorda particolarmente – in Italia – quelle di Bologna, Milano e Como. A Milano si aggiunsero al convoglio tanti altri bambini provenienti dalle regioni del Nord. Tra essi Enrico, un bambino di Trieste con il quale Enzo fa subito amicizia. Nei vagoni i bambini parlano, cantano, mangiano e dormono. Per dormire bisognava disporsi su due livelli, i più piccoli in basso e i più grandi arrampicati sulle griglie per i bagagli.
Superato il confine, attraversarono la Svizzera, con il suo paesaggio e le sue case intatte, poi la Germania in cui le macerie si alternavano alle macerie. Nelle fermate in diverse stazioni, Enzo viene colpito dalla visione dei cumuli di macerie accatastati su un lato e dovunque crateri giganteschi.
Al confine tra Germania e Danimarca, probabilmente a Padborg, il convoglio si fermò e tutti i bambini e le accompagnatrici furono fatti scendere. La sosta durò circa tre giorni – forse per controlli e vaccinazioni prima dell’ingresso in Danimarca – e tutti furono ospitati in un campo che Enzo ricorda simile a un campo di concentramento, tetro, sporco, “non era bello”. “Fu un momento di crisi” ricorda Enzo, e molti bambini piansero. Le crocerossine fecero del loro meglio per limitare il disagio dei bambini, provando a distrarli con recite di poesie e storielle. Enzo, che ama cantare, si fece avanti e cantò per tutti gli altri le canzoni italiane più in voga.
Trascorsi i tre giorni nel campo, si riprese il viaggio in treno, attraversando il confine ed entrando finalmente in Danimarca. Enzo non ricorda esattamente dove erano diretti, ma i circa 500 piccoli italiani furono ospitati presso famiglie contadine dello Jutland e smistati, nel capoluogo Aarhus, per raggiungere le diverse fattorie a cui erano destinati. Enzo viene accolto da una coppia di imprenditori agricoli senza figli, mentre il suo amico triestino Enrico – fortunatamente viene ospitato non lontano, in una fattoria vicina.

La fattoria in Danimarca dove fu accolto Enzo Cioccari

Ricorda con piacere, Enzo, questa sua nuova vita in campagna: soprattutto l’aver trovato una cameretta destinata solo a lui. I primi giorni i suoi ospiti comunicano con lui a gesti, poi gli disegnano oggetti, cose, animali, aggiungendo la parola danese corrispondente, lui risponde con altri disegni e aggiunge alle parole danesi le corrispondenti italiane. Cominciano in breve tempo a capirsi e al termine dei tre mesi – afferma Enzo – comunicava in modo elementare ma efficace in lingua danese. Nella fattoria si mangia bene, c’è sempre carne, verdure dell’orto, frutta, in particolare gli è rimasto in mente il sapore di un brodo con delle palline dentro, ma a mancargli rimaneva la pastasciutta.
Il suo primo amico è un cane “gigantesco”, un alano, a cui si affezionò e che lo seguiva dappertutto. Imparò anche a montare a cavallo. Nella fattoria c’erano galline, maiali, una piccola mandria di mucche. Ogni giorno dei grandi camion caricavano i bidoni del latte. La cosa che più lo sorprese fu il pollaio, “lo disegnai sul mio quaderno” dice. Non gli sembrava possibile che le galline avessero una vera e proprio casa, più grande e confortevole dei posti in cui aveva abitato in Italia. “Imparai anche a giocare a dama” aggiunge Enzo.
I coniugi che lo ospitavano gli fecero incontrare spesso l’amico triestino Enrico, che era ospite presso una fattoria vicina. Ma anche con le altre famiglie delle fattorie vicine si organizzavano incontri e feste da ballo. Sulle aie si giocava con i bambini danesi, che non mostravano ostilità nei confronti dei bambini italiani (che provenivano da un Paese che era stato in guerra con il loro fino a pochi anni prima). Enzo ricorda di aver anche assistito a una partita di calcio.    
Talvolta alla fattoria venivano in visita le crocerossine. “Parlavano italiano” ricorda Enzo, ma potrebbero essere state le militanti di “Save the children” (“Red Barnet” in danese), che avevano organizzato il viaggio dall’Italia. Si accertavano che i bambini stessero bene e che non ci fossero problemi.
Del soggiorno e delle persone incontrate nel suo viaggio in Danimarca, Enzo Cioccari conserva solo quattro fotografie: il ritratto insieme ai suoi ospiti; il ritratto del suo amico triestino Enrico; lui insieme ad Enrico; in groppa a un cavallo.

Il ritorno

Enzo mi racconta che mettendo a confronto due fotografie da lui conservate, la prima di gruppo all’asilo in cui appare magro e smunto, e l’altra scattata al suo ritorno, a scuola, in cui appare rotondetto e in salute, è evidente quanto bene gli fecero quei tre mesi in Danimarca. Una volta tornato “a casa”, nella caserma degli sfollati a Roma, continuò a scambiare ricordi del viaggio con gli altri coetanei che vi avevano preso parte, ma veniva preso un po’ in giro da chi era rimasto a Roma. Ma come parli?! gli dicevano. La cadenza romana – dopo solo tre mesi all’estero – si era modificata e risentiva dell’accento “straniero” che aveva evidentemente assorbito.
Poco tempo dopo, forse attraverso l’organizzazione del viaggio, i suoi genitori ricevettero una richiesta dalla Danimarca. I coniugi danesi che avevano ospitato Enzo proposero loro di adottarlo. Il padre la prese malissimo, e trasmise il suo immediato rifiuto, cancellando subito dopo qualsiasi memoria del viaggio, indirizzi, appunti. Stranamente si salvarono le fotografie che Enzo ancora custodisce gelosamente.
Avrebbe voluto scrivere almeno una cartolina ai suoi ospiti danesi, domandargli “come state?”, ma non sapeva come fare e pian piano accettò di non pensarci e parlarne più. Continua ancora oggi a ricordare il suo amico, Enrico, e si dispiace di averlo “perso”. Al rientro in Italia, a Milano, quando Enrico lasciò il convoglio, che proseguiva diretto a Roma, per raggiungere la sua Trieste si salutarono velocemente. “Eravamo bambini – dice Enzo – e ci salutammo solo con un ciao, senza pensare a scambiarci gli indirizzi”.

Ma è alla fine della telefonata e del nostro dialogo che scopre la sua carta migliore. Mi dice di aver conservato un tema, scritto tre anni dopo il suo ritorno a Roma, nel 1951, assegnato dalla sua professoressa delle medie: “Se ti fosse permesso di fare un lungo viaggio per l’Europa dove andresti, dove ti fermeresti?”, “Sono stato in Danimarca!” risponde Enzo, raccontando del suo viaggio avventuroso.
Qualche giorno dopo, via mail, mi arriva la scansione delle 10 pagine del tema, tratto dal suo quaderno di scuola. È un documento eccezionale, che arricchisce profondamente il racconto che mi ha fatto telefonicamente. A 12 anni Enzo racconta da vero narratore sia l’esperienza vissuta (in modo vivido e dettagliato) che il sogno di un viaggio ulteriore fatto con la sua fantasia. Il suo tema è probabilmente l’unico documento che racconta quasi “in diretta” il viaggio dei bambini verso un periodo di sosta e benessere che interrompeva una vita degradata dalla violenza della guerra. E questo passaggio dalla sofferenza alla gioia, Enzo lo fa sentire con le sue parole.

Il Tema

Roma 7 marzo 1951
Se ti fosse permesso di fare un lungo viaggio per l’Europa dove andresti, dove ti fermeresti?

A me è stato permesso di fare un lungo viaggio per l’Europa e mi è stato concesso di fermarmi in Danimarca e ora lo descrivo.
Era il giorno 20 Maggio dell’anno 1948 insieme ad altri ragazzi della caserma [che fungeva da campo profughi in Trastevere], ci fermammo alla stazione: Termini e li vennero molti altri ragazzi dalle altre parti di Roma. Era sera e alle ore 9 il treno partì. Durante la notte io ero al finestrino per vedere le vie dove passava il treno, ma avevo sonno e allora mi misi sdraiato sulla poltrona a dormire. La mattina quando mi svegliai mi accorsi che eravamo arrivati a Firenze.
Scendemmo con gli accompagniatori che ci portarono a visitare la chiesa di Santa Croce. Noi fummo molto contenti, perché andammo a visitare la tomba di: Michelangelo Buonarroti, la tomba di Dande Alighieri e altre tombe di tanti altri grandi Italiani. Poi riandammo a riprendere il treno e ripartimmo per Bologna.
Scendemmo anche lì per mangiare e per rifornirci di viveri e visitammo le vie di Bologna, con i suoi monumenti e le sue belle chiese. Dopo pochi giorni arivammo a Como. Arrivati alla stazione vedemmo molti soldati che partivano per la licenza. Anche lì ci fermammo a vedere la caserma dei soldati e per visitare la bella città.
Ripartimmo la notte del 30 Maggio e il treno passò la galleria: del Frejus, per andare in Svizzera. È una meraviglia descrivere le cose che ho visto nella Svizzera. Arrivati alla prima stazione mi affacciai al finestrino e vidi molte cose belle. Un lago! Che lago sarà mai? Non mi ricordo. Era un lago magnifico e gli svizzeri con le loro barche vi andavano a pesca. A fianco della barca vi era una bandierina Italiana. Per allora non sapevo, ma lo so ora, perché lì vi era la bandierina Italiana e non svizzera, era il posto dove vi erano gli italiani e gli uomini che erano sulla barca erano italiani e il treno ripartì.
Io ero al mio posto a leggere i giornaletti ed affacciandomi alla finestrella mi misi spavendo. Che cosa sarà mai? Il treno stava passando proprio sulla cima di una collina, ma io vedevo di sotto: «Pecore, buoi e cavalli», che pascolavano nei bei prati svizzeri. Oh! Quanta bellezza!
Arivammo in Germania. Le sue bellezze era state distrutte delle bombe, le caserme dei soldati erano occupate dai profughi e i bei palazzi erano ancora a terra. Arivammo a una stazione vicina al Danubio e essa era tutta distrutta. La mia vista vide un grande fiume navigabile. Che fiume sarà? Era il Danubio il grande fiume internazionale il quale nasce dalla Selva Nera e va a portare le sue acque al mar Nero dopo aver attraversato: «L’Austria, l’Ungheria, la Iugoslavia, la Bulgheria e la Romania». Scese la sera una nebbia che accecava gli occhi. Tutte le stazioni erano illuminate di luci e con lanterne. Ecco infine una catena di monti. Erano i monti Carpazi e sotto di essi vi era una galleria.
Passammo anche quella galleria e infine arrivammo al confine tra la Danimarca e la Germania. Lì scendemmo e ci stemmo tre giorni e tre notti. Quando freddo vi era! Le signorine danesi erano ben incappottate invece noi avevamo solo i nostri pochi abiti di estate e non vedevamo la ora che passassero quei giorni, per andare poi ognuno per famiglia.
Visitai quasi tutta la Danimarca e vidi molte cose che ora descrivo: «I bambini danesi sono tutti biondi, i loro costumi sono: calzoncini corti con straccali [le bretelle], pedalini di tutti i colori ricamati, camicette a quadretti e un berretto in testa. Il loro linguagio è una specie di quello tedesco, perché la Danimarca è vicino alla Germania». Visitai anche un paesetto posto sopra un colle. Che meraviglia! Il mare! Era veramente meravigioso! Un mare calmo, azzurro e lì vi si rispecchiava il bel sole d’oro. Le navi all’orrizonte il bel porto disotto con un bel faro e le navi che partivano su quel bel mare. Era il mar Baltico. Scese la sera e prima di riandare in città, andai a rivedere il bel porto. Ora era tutto illuminato, il bel faro splendeva, si vedeva un chiarore all’orrizonte, che cosa era mai? Era una nave che vi passava e era bella e illuminata.
Un’altra volta andai a vedere un campo. Che meraviglia! Dei campi di grano così grandi! Mi pareva di sognare! Il bel grano biondo e il bel sole d’oro che risplendeva su di esso. To! Ecco una grande mandria di buoi che andavano al pascolo. Di che razza saranno? Era una razza danese. Ecco ora un pollaio, un gallo spicca fuori cantando così: «Chicchirichi chicchirichi». Ecco ora un cavallo tutto ben sellato. Io avevo desiderio di andarci sopra e infatti ci andai. Quanta gioia! Quanta felicità!
Così col passare dei giorni riandai a casa…

Enzo Cioccari scrive di getto, totalmente immerso nel suo viaggio attraverso l’Europa. Non vuole fermarsi alla descrizione del viaggio realmente vissuto, ma vuol andare oltre, e prosegue: “E ora se mi fosse permesso di fare un altro viaggio per l’Europa sapete dove andrei?” E con la sua fantasia e le sue recenti conoscenze geografiche descrive le bellezze della Bulgaria con i suoi fiori e le graziose ragazze che li raccolgono, poi torna indietro, nell’Olanda dei mulini a vento, delle dighe che fermano il mare e dei marinai forti e coraggiosi, poi a Baku sul Mar Caspio dove dai pozzi pescano il petrolio, raggiunge quindi la Siberia con le slitte che corrono sul ghiaccio, poi a Mosca per visitare il Cremlino. Infine “andrei a visitare la ferrovia: Transiberiana, che parte da Mosca e arriva al porto di Vladivostoc”.