“La memoria che resta” attraverso le lenti degli studenti di storia culturale
di CLAUDIA VILLANI
C’è lezione e lezione. Ascoltare Giovanni Rinaldi per due interi pomeriggi (31 marzo e 1 aprile 2022) durante il corso di storia culturale all’Università di Bari (Corso di laurea magistrale in Scienze Storiche e Sociali – Dip. DURIUM) ha lasciato segni profondi.

Avevamo preparato questi due incontri dopo aver introdotto i caratteri della nuova storia culturale, riflettendo sugli approcci storiografici, esplorandone percorsi di ricerca e sviluppi, in Italia e all’estero. Per metterne alla prova le potenzialità, la ricchezza e la complessità abbiamo quindi deciso di avviare un laboratorio di ricerca su un archivio particolare, densissimo e di grande importanza, in relazione a tanti temi e interrogativi emersi durante le lezioni: “La memoria che resta”.
Giovanni ci ha parlato per ore di tutte le fasi della ricerca, delle scelte, delle difficoltà, delle sorprese, anche della sua ricerca più recente, sui “treni della felicità”. Ma quella dei primi anni Settanta sul mondo dei braccianti di Cerignola – La memoria che resta (qui il libro nella riedizione del 2004) – rimane un’avventura intellettuale ed umana unica nel suo genere. Testimonianze, racconti, immagini, voci e musica, raccolte da Giovanni e da Paola Sobrero, ci hanno consegnato le chiavi per esplorare un universo culturale complesso, stratificato, ricchissimo.
La sfida per ogni studente è stata di mettere a fuoco un interrogativo di ricerca con cui riattraversare quell’universo culturale. Molti hanno disegnato i loro percorsi di ricerca partendo dalle fonti di “La memoria che resta”. Due gruppi invece hanno provato a cimentarsi direttamente con la sfida della raccolta di fonti orali originali, partendo da temi e problemi particolari.
Così, nelle ultime due lezioni (26 e 27 maggio 2022), studenti e studentesse hanno presentato i primi risultati delle loro ricerche e ne abbiamo discusso insieme, con Giovanni collegato con noi a distanza, forse sorpreso anche lui da quanto ancora quelle fonti possano raccontare e raccontarci. Superati i soliti fastidiosi problemi tecnici dovuti ai collegamenti online, alla fine abbiamo avuto due conferme: la prima, che la ricerca storica inizia dai problemi; la seconda è che le fonti orali, se studiate con le lenti della nuova storia culturale – interessata ad indagare i meccanismi delle narrazioni e delle memorie popolari, del rapporto tra ideali, emozioni e corpi, ecc. – sono fonti preziose, polisemiche, “dense”.
Questi i titoli dei percorsi presentati sin qui (a cui si aggiungeranno gli altri su cui stiamo ancora lavorando):
- A partire da “La memoria che resta”
Raffaele Fiorentino, La parabola del Cristo comunista
Arianna Tota, Emigrare perché? Una ricerca sulle emozioni tra storia, voci e immagini
Carolina Caccetta, Corpo di donna: tra oppressione e resistenza
Sergio Sinigaglia, Ricordi d’ingiustizie: analisi delle forme concrete di espressione dell’idea di giustizia fra i braccianti cerignolani della prima metà del XX secolo
Alessandro Angelo Amato, La “gioia” dei braccianti
- Le nuove ricerche
Paolo Biccari – Giorgia Fiore, Raccontare l’emigrazione oggi, tra realtà e finzione [interviste originali realizzate dagli studenti con l’ausilio della CGIL]
Fabiana Pellegrini – Savino Carbone, VLORA a trent’anni dall’esodo [videointerviste originali e documentario realizzato con fonti d’archivio]






Alla fine di questa prima esperienza già si ragiona di come proseguire, sia per raccontare quanto ancora c’è da raccontare studiando le fonti de “la memoria che resta”, sia per sviluppare in altre direzioni queste ricerche, guardando ad altri mondi culturali dei nostri territori, confrontandosi con le recenti esperienze promosse dall’AISO con le “scuole di storia orale”, magari avvicinando al microfono chi ne è rimasto lontano, per usare una famosa metafora di Jay Winter, poiché – come ci ricorda acutamente la Gribaudi –
Il ricordo pubblico, come l’interpretazione di un determinato evento, sarà legato alla capacità e alla possibilità dei protagonisti di farsi sentire, di accedere ai mezzi di comunicazione attraverso cui circolano le idee, alla loro forza e alla loro legittimazione sulla scena pubblica. Chi è lontano dal microfono stenta a farsi sentire. Sarà necessario trovare i mezzi per giungere fino a lui [1].
Bisognerà trovare questi mezzi, con il microfono e la videocamera, con le nostre domande ma anche, come ci ha spiegato Giovanni, con la disponibilità ad accogliere risposte inattese o apparentemente inutili. Solo così, nella relazione di ascolto e rispetto tra ricercatore e testimone, la memoria diventa “fonte orale” documento prezioso della “storia che resta” nei ricordi, nelle emozioni, nelle speranze e nel presente di tanti suoi protagonisti.
[1] G. Gribaudi, La memoria, i traumi, la storia. La guerra e le catastrofi del Novecento, VIELLA, 2020, p. 19.