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Un racconto di NADIA SEGANTI

Buongiorno Sig. Rinaldi, ho appena finito di leggere “C’ero anch’io su quel treno”, e voglio complimentarmi con lei per questa bellissima opera. Mai prima d’ora un libro mi aveva commosso così tanto… Di fatto l’ho letto piangendo, perché in quei racconti ho rivisto l’Italia umile dei nostri nonni e genitori, che pur possedendo poco o nulla, non voltarono le spalle a chi stava peggio di loro. Sto scrivendo per raccontarle che anche la famiglia del mio nonno materno ospitò un bambino della zona di Cassino.

Una cartolina di Bagnacavallo (dalla pagina Facebook “Storia e memoria della Bassa Romagna”)

Mi chiamo Nadia Seganti e abito in una minuscola frazione del Comune di Bagnacavallo in provincia di Ravenna. Il mio nonno materno si chiamava Bartolo Zannoni e apparteneva ad una famiglia numerosa, dove oltre a lui e ai genitori, c’erano altri sei tra fratelli e sorelle.
I Zannoni, comunisti sempre, durante il Ventennio subirono ogni sorta di persecuzione e angheria per il loro antifascismo. La nostra famiglia partecipò attivamente alla Resistenza, dando anche aiuto e ospitalità ai partigiani durante gli spostamenti che effettuavano per raggiungere i distaccamenti in collina e nelle valli. Fin dagli anni Trenta la grande famiglia di mia madre era composta da due nuclei familiari, visto che nella stessa casa coabitavano mio nonno, il fratello con le loro mogli e i rispettivi figli, i genitori, una sorella nubile e un nipote rimasto orfano in tenerissima età, del quale gli zii erano diventati i tutori.    
Mio nonno Bartolo Zannoni era sposato con Flaminia Romagnoli, e avevano due figlie: la maggiore si chiamava Orianna, invece la minore (mia madre) Elia. Il nonno svolgeva la professione di sarto da uomo, mentre la nonna Flaminia gestiva un piccolo negozio di generi alimentari. Durante il Ventennio, non essendo iscritti al Partito, avevano dovuto ripiegare in occupazioni nelle quali non era richiesta la tessera fascista. La stessa cosa era successa anche al fratello di mio nonno, Vito Zannoni, il quale svolgeva la professione di pescivendolo. Vito era sposato con Domenica Taroni, detta Minghina, e avevano tre figli: Ettore, Marisa e Sante. La grande famiglia composta dai due fratelli Zannoni, fino agli inizi degli anni ’50 convisse nella stessa casa situata a Glorie di Bagnacavallo, un piccolo paese sul confine con il comune di Ravenna.       
Questa bellissima famiglia che durante il fascismo e il periodo bellico subì di tutto, sfuggendo fortuitamente anche ad un paio di rastrellamenti nazisti, nell’immediato dopoguerra ospitò un bambino proveniente dalla martoriata zona di Cassino.  
Purtroppo negli ultimi venti anni sono scomparsi quasi tutti i protagonisti e i testimoni (compresa mia madre) che vissero in prima persona questa bellissima vicenda, e di conseguenza nel mio racconto risultano esserci molte lacune. Ultimamente ho contattato alcune persone anziane che si ricordano dei “Treni della Felicità”. Una signora in particolare, la cui famiglia ospitò in quel periodo un bambino proveniente sempre dalla Ciociaria, ha confermato che i primi treni in Romagna giunsero effettivamente nel 1946. Pare che questi bambini arrivassero a scaglioni, a distanza di mesi gli uni dagli altri.        
La famiglia del nonno e dello zio ospitò un bambino di nome Antonio Sacchetti che proveniva da San Donato Val di Comino in provincia di Frosinone. A dire il vero quasi tutti i bambini accolti nei piccoli centri dei comuni di Bagnacavallo (Glorie) e di Ravenna (Mezzano e Savarna) provenivano da San Donato. Ancora oggi in queste località vivono degli ex bambini arrivati con quei treni, alcuni dei quali poco dopo si trasferirono definitivamente in Romagna con le loro famiglie naturali al seguito, integrandosi perfettamente nel nuovo contesto umano e sociale.
Per quanto riguarda la vicenda vissuta dalla famiglia di mio nonno ho davvero molti vuoti. Non so esattamente in quale mese del 1946 Antonio arrivò in Romagna, neppure quanti anni avesse all’epoca e in quale stazione giunse il treno che lo condusse fino qua. Potrebbe essere arrivato alla stazione di Ravenna, Bagnacavallo o forse in quella di Lugo? Mi è ignota pure la durata della sua permanenza in casa nostra, e se venne ospitato nuovamente dalla famiglia del nonno e dello zio, anche se di questo ne sono quasi sicura. Quasi tutte le persone che avrebbero potuto raccontarmi meglio questa storia non ci sono più.          
Della storia di Antonio mi è sempre rimasto impresso un episodio che sentivo raccontare in famiglia quando ero bambina. Mi sto riferendo alla storia del bagno, di quando lui tentò di scappare davanti al mastello pieno di acqua che la nonna Flaminia e la zia Minghina avevano preparato per lavarlo appena arrivato. Pare che strillasse e si dimenasse come un forsennato dicendo che non voleva essere mangiato! Eh sì, come nelle numerose testimonianze riportate nel suo libro, anche Antonio era stato sottoposto all’indottrinamento anticomunista da parte dei preti ciociari, i quali avevano fatto credere pure a lui che una volta arrivato in Romagna avrebbe fatto una brutta fine!      

Come le ho già scritto in precedenza, non so quante altre volte dopo il 1946 Antonio ritornò ancora a casa nostra. Ma da quel momento e nei decenni successivi si instaurò un legame fortissimo tra lui e la nostra famiglia, che portò i miei nonni e gli zii ad incontrare e conoscere i suoi genitori, creando un bellissimo rapporto che si protrasse anche in questo caso per tanto tempo.         
Antonio crebbe, si sposò e con la moglie emigrò in Francia andando a vivere nella Banlieue parigina, in una città che si chiama Villeneuve Le Roi. Nella capitale francese trovò lavoro in una prestigiosa Maison de Mode. Ancora oggi mi commuovo quando penso che la passione e l’amore per questa professione gliela trasmise proprio mio nonno. Se non fosse venuto in Romagna, Antonio sicuramente non avrebbe mai imparato quel mestiere che gli permise di dare una svolta alla sua vita.  I nostri contatti durarono per tantissimi anni, e molte volte al ritorno dalle ferie estive che trascorreva a San Donato, Antonio e la sua famiglia si fermavano da noi prima del rientro in Francia.

Io conobbi Antonio nel 1976 quando avevo solo dieci anni, e quell’incontro mi segnò profondamente. Per me fu la scoperta di tutto quello che di bello aveva fatto la mia famiglia, e realizzai che ciò che si era venuto a creare era un legame fortissimo, che andava oltre quelli esistenti tra parenti consanguinei. Da quel momento in poi considerai Antonio un parente a tutti gli effetti e i suoi figli, quasi miei coetanei, diventarono “i cugini francesi”. Quell’incontro, quella scoperta, mi segnarono talmente tanto, che l’anno successivo alle Scuole Medie come lingua straniera scelsi il francese anziché l’inglese, cosa che invece già a quei tempi in molti ambivano fare. A soli dieci anni ripromisi a me stessa che la volta successiva che avrei rivisto “i cugini francesi,” sarei stata in grado di parlare con loro. Effettivamente fu così, perché da lì a qualche anno quando ritornarono a farci visita, fui in grado di esprimermi nella lingua che avevo iniziato a studiare. Certo, il mio era ancora un francese molto elementare e scolastico, ma la scommessa, la sfida che avevo fatto e poi vinto con me stessa, mi spronarono ulteriormente ad amare e studiare quella bellissima lingua. Con Antonio restammo in contatto per tutti gli anni Ottanta e parte dei Novanta, poi una serie di lutti ravvicinati e varie vicissitudini spiacevoli colpirono la mia famiglia, e così dalla metà degli anni Novanta non seppi più nulla di lui e dei suoi cari.
Attualmente non so se, una volta andato in pensione, sia ritornato a vivere a San Donato, o sia restato in Francia. Non so cosa facciano e dove vivano i suoi figli. Spero che stiano tutti bene.

Da quando ho letto il suo libro mi sono ripromessa di rintracciarli, ma le mie ricerche fino adesso hanno dato un esito negativo. Sembra incredibile, ma in quest’epoca dominata dai Social, di loro non ho trovato traccia sul web. Su Facebook mi sono imbattuta in alcuni omonimi dei figli ma ho molti dubbi che si tratti realmente di loro, e così pure la ricerca sui siti della città di Villeneuve Le Roi e di San Donato Val di Comino hanno dato esiti negativi. La legge sulla Privacy costituisce poi un ostacolo notevole per chi fa questo genere di ricerche, e per quanto mi riguarda durante un paio di traslochi avvenuti una ventina di anni fa ho perso l’indirizzo di Antonio.  
La lettura del suo libro Sig. Rinaldi, mi ha riportato alla mente tanti ricordi che pensavo essere scomparsi dalla mia mente per sempre. Da alcune settimane sto rivedendo molti episodi del passato legati a questa vicenda, e così la voglia di capire e di scoprire cosa ne sia stato di Antonio e della sua famiglia mi ha portato a contattare, proprio in questi giorni in cui le sto scrivendo, Marisa, la cugina di mia mamma. Anche lei, visto che all’epoca era ancora una bambina, ha dei ricordi molto vaghi e imprecisi riguardo le date, l’età e la stazione dove arrivò Antonio. In compenso però mi ha dato una bella notizia perché, nonostante non abbia più avuto contatti con lui da qualche anno, sono venuta a sapere che Antonio abita ancora in Francia. Non nego che mi piacerebbe poterlo contattare. Sarebbe davvero bello risentirlo dopo così tanto tempo! innanzitutto per sapere come stanno lui e la sua famiglia, ma anche per poter ascoltare direttamente dalla sua voce il racconto del viaggio che lo portò in Romagna, unendo la propria esistenza a quella della bellissima famiglia che si prese cura di lui, gli volle bene e che contribuì a cambiare le sorti della sua vita. In questo modo si potrebbe dare un senso compiuto al racconto che le sto scrivendo, e che purtroppo possiede ancora tante lacune.

A volte ci si dimentica che la Storia non è fatta solo dalle gesta eclatanti dei grandi eroi, ma è spesso il risultato delle scelte di persone comuni mosse nel loro agire semplicemente dall’altruismo disinteressato e dall’amore verso il prossimo. Azioni queste che purtroppo non trovano mai spazio nelle pagine dei libri di storia, dove invece si preferisce dare voce agli episodi che suscitano un impatto emotivo più immediato. Sono inoltre convinta che da sempre, per evidenti ragioni politiche, si sia preferito tacere e far cadere nell’oblio storie come quelle narrate nei “Treni della Felicità”, delle quali prima delle uscite delle sue due opere non si erano praticamente trovate testimonianze scritte [nel 1980 era uscito il libro Cari bambini vi aspettiamo con gioia… che purtroppo ebbe poca diffusione, ndr]        
Fin dall’infanzia sapevamo dell’arrivo di quei bambini grazie ai racconti dei nostri nonni e dei nostri genitori, ma tutto finiva lì. Le storie di amore e affetto reciproco nate tra chi fu accolto e chi ospitò, per molti decenni esistettero solo nei racconti di chi visse in prima persona quelle straordinarie esperienze umane. Ho deciso di raccontare la storia della mia famiglia non per protagonismo, ma per aggiungere un’ulteriore testimonianza al bellissimo lavoro che lei sta portando avanti da molti anni. Si tratta di un’opera importantissima che dà voce ai tanti eroi silenziosi e alle vicende commoventi che sono rimaste ignorate per tanto tempo, e che rischiavano di andare perdute per sempre. Nel suo libro sono raccontate storie struggenti, ricche di un’umanità che noi italiani abbiamo ormai perso da tempo. Leggendo le vicende narrate nella sua opera appare un popolo umile e dignitoso, purtroppo ormai estinto. Penso che se molti italiani di oggi avessero anche solo un milionesimo di quei valori, allora il nostro paese sarebbe salvo. 
Caro Sig. Rinaldi la ringrazio nuovamente per l’attenzione prestatami, e restando a sua disposizione per ulteriori domande o curiosità, la saluto con la promessa di tenerla aggiornata sull’evolversi della vicenda.

Nadia Seganti