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Per me il testimone è il primo eroe della letteratura. Mi dicono che i ricordi non sono storia e neanche letteratura. Questa è semplicemente la vita che non viene pulita con la mano dell’artista.
Però per me non è così. Proprio lì nella viva voce della persona, nel vivo riflesso della realtà si nasconde il mistero della nostra presenza qui, e si apre la tragedia della vita.
Il suo caso è la passione. L’unicità e l’imperscrutabilità.
Ogni storia contiene la storia di un’anima e le passioni umane rimangono fuori dalla storia. La mia missione è estrarre queste storie dal buio e la cosa principale è non aggiungere nient’altro, solo ascoltare e ascoltare.
..”
(Svjatlana Aleksievicˇ, discorso al conferimento del Nobel, Stoccolma 7 dicembre 2015)

Questa che racconto oggi è una storia molto diversa da tutte le altre che ho incontrato in questi anni. Una storia che sembra quasi il rovescio di tutte quelle che avevo raccontato prima di questa, e che mi ha colpito profondamente.
Da tempo la conservavo gelosamente, quasi difendendola, evitando anche di inserirla tra quelle che ho pubblicato nel mio libro C’ero anch’io su quel treno. L’ho fatto sia perché le informazioni iniziali, fornite dalla donna che mi aveva scritto, erano parziali e frammentarie, che per un rispetto verso problematiche familiari complesse e drammatiche che emergevano dalla storia stessa, e che avevano inciso duramente sulla vita della bambina protagonista.
Trascorsi alcuni anni dai primi messaggi, Anna Azzarà, la mia fonte, mi ha però inviato altre numerose informazioni, frutto della sua tenace ricerca mai abbandonata, autorizzandomi (e forse spingendomi) a raccontare la storia di sua madre, una delle migliaia di bambine partite da Napoli nel 1947 con destinazione Savona, in Liguria.
Nel primo messaggio, postato nella pagina Facebook I treni della felicità, Anna scriveva:

Mia madre nel 1946 circa era su uno di questi treni pieni di bambini… da Napoli a Savona… mi scuso del disturbo, ma se qualcuno potesse darmi suggerimenti o consigli sarei molto grata! Fornirò tutte le notizie che conosco. Davvero di nuovo tante grazie per avermi risposto e dato una speranza, dopo tanto tempo, di risalire alla storia di mia madre… le auguro una buona serata…
Lo strano caso di mia madre è il problema contrario… non cerca la famiglia che l’ha ospitata, ma ha perso quella di origine!
Anna Azzarà

Le chiesi di inviarmi notizie più dettagliate riguardanti l’esperienza vissuta dalla madre, così Anna prese a inviarmi lunghe mail, e qualche fotografia, esponendomi il suo caso, problematico e complesso, diverso da quasi tutti gli altri di cui mi ero occupato. Ho provato a mettere insieme, per raccontarlo, tutte queste informazioni, ricevute in un lungo arco di tempo, fino alle mail di qualche settimana fa. Una storia familiare, materna, che Anna ha voluto ricostruire, perseguendo tenacemente l’obiettivo di sua madre: ritrovare la donna che l’aveva messa al mondo e che l’aveva amata a dispetto di tutto e tutti, affidandola poi a un treno che l’avrebbe portata lontano da lei, perché fosse accolta tra altre braccia di un’altra famiglia, con l’amore che non era riuscita a darle come desiderava.

Premetto che è una storia un po’ contorta, ma cercherò di raccontare tutto in modo che, lo spero, si possa un giorno risalire alla famiglia di mia madre e conoscere meglio quello che è successo. Non cerco la famiglia adottante, ma quella di origine, dalla quale è stata separata negli anni 1946-‘47 circa, salendo sul treno dei bambini dal Sud d’Italia verso il Nord.

Mia madre si chiama Mira Rosalba Edel Vacca, è nata a Pescara il 26 settembre del 1936 in casa di una zia che lì risiedeva. Sua madre, mia nonna, si chiamava Michelina Domizio. Il marito, Luigi Vacca, era disperso in guerra e alla bambina fu dato il suo cognome.
Mia madre nasce senza conoscere l’uomo di cui porta il cognome, le verrà detto che in realtà non è la vera figlia di Luigi Vacca e che la madre per evitare scandali la fece passare per figlia di Luigi, che non tornerà mai più dalla guerra.  Mia madre ricordava che una volta le venne detto esser figlia di un certo Mario Billi.
Michelina, mia nonna, aveva altri tre figli molto più grandi di Mira: Mario, Eva e Concetta. Tornati a Napoli abitarono in Via Salvator Rosa. Mia madre ha sempre ricordato perfettamente i nomi delle strade anche senza esser mai più tornata a Napoli dal giorno in cui partì con il treno e per raggiungere la Liguria, nel 1947. Ho controllato su internet e anche i luoghi descritti e ricordati alla perfezione da mia madre, dopo circa 70 anni o più, corrispondono. 

Di quegli anni a Napoli aveva ricordi molto tristi, soprattutto per i maltrattamenti ricevuti da parte dei nonni ai quali era spesso affidata dalla madre Michelina. Probabilmente Michelina non aveva di che sfamarla e la affidava ai nonni perché sua figlia Mira potesse mangiare qualcosa, ma questi nonni la escludevano dall’affetto familiare escludendola e facendola sentire indesiderata in quanto figlia illegittima. Mia madre raccontava della mancanza profonda d’amore in famiglia, anzi quasi di un odio verso di lei. I suoi fratelli erano fratellastri e nessuno, neanche la nonna, mostrava piacere di averla vicino. Ricordava benissimo che a tavola non poteva sedersi con loro e che il marito che era accanto a sua madre non era il suo vero padre.
Mi ha sempre però incuriosito il suo terzo nome… Edel. Non è un nome Italiano e sembra quasi che la madre abbia voluto così ricordare le vere origini, forse è tedesco? Forse ha più significati, non saprei, ma sembra che spesso le dicessero in modo offensivo che suo padre fosse un americano o un tedesco.
Mia madre non riusciva ad aggiungere molti altri ricordi, ma per anni le ho sentito sempre raccontare della paura dei bombardamenti su Napoli, della fame e della sua solitudine. Ricordava il suo correre terrorizzata tra la folla che si ammassava in cerca di rifugi e la sua paura di cadere per le scale che scendevano nel sottosuolo, nella confusione, senza che mai nessun adulto le desse la mano. Fra il periodo storico in cui ha vissuto e una famiglia così poco attenta e senza affetto, deve aver sofferto molto. 

Venne messa sul treno che da Napoli portava in Liguria, uno di quei treni “della felicità” e ricordava che all’arrivo, a Savona, i bambini furono raccolti in una grande stanza dove erano “scelti” dalle coppie che erano lì ad attenderli. Lei aveva lunghi capelli rossi ed era magrissima, quasi macilenta, tanto che nessuno sembrava volesse prenderla in affido, perché convinti che potesse ammalarsi gravemente, vista la sua magrezza. Poi dopo un po’ di tempo arrivò una coppia e lei sentì subito il desiderio di correre in braccio a questa donna.

I coniugi Bolzoni di Savona che accolsero la piccola Mira

La signora che la prese con sé la descriveva come una bambina fortemente denutrita, di circa dieci anni, ma così deperita da dimostrarne la metà. Si chiamava Nicoletta Dotta, suo marito Angelo Bolzoni [forse il vicepresidente della Confederazione Prov. Cooperative di Savona, ndr], avevano già quattro figli naturali, ma aderirono con convinzione a questo progetto di accoglienza. La loro bella e grande casa era in via Nostra Signora degli Angeli e in questa sua nuova casa Mira comincerà a chiamare Zia Coletta la signora che la coccola affettuosamente.

Savona. Mira Rosalba Edel, bambina, nei pressi della casa dove fu ospitata.

Ma l’affidamento durò molto poco, perché fu riportata dopo pochi mesi a Napoli, a seguito della notizia della madre morente.  Angelo Bolzoni la riaccompagnò personalmente a Napoli, ma Mira non riuscirà a vedere la madre morente e così, dopo pochi giorni, di notte, Angelo Bolzoni quasi scappò dall’albergo in cui alloggiavano, riportandola immediatamente in Liguria. Perché questa fuga? Forse ci furono polemiche e discussioni fastidiose con gli altri familiari di mia madre e a lui sembrò che, pur pretendendone la restituzione, non le volessero davvero bene.
Mia madre non fu più “restituita” alla famiglia biologica (famiglia che nel tempo non la rivendicò comunque mai), ma non venne neanche adottata dalla coppia che la ospitava, forse per qualche contrarietà espressa dai loro figli.
Mira continuò a vivere a Savona fino ai 18 anni compiuti, età in cui sposò mio padre. Andarono a vivere in Calabria, dove rimasero per venti anni. Alla morte dei Bolzoni, a Mira fu destinata anche parte di eredità, ma per divergenze familiari non riuscì mai a riscuoterla.

Mia madre Mira ha sempre sperato che qualcuno la riportasse a Napoli. Le sarebbe piaciuto inginocchiarsi accanto alla tomba di sua madre Michelina.
Negli ultimi anni della sua vita è stata malata di alzheimer, ospite in una casa di riposo. Riconosceva solo la piccola fotografia di sua madre, da cui non si è mai separata ed era l’unico frammento di passato che le era rimasto.

Ora lei non c’è più, ed io vorrei farle questo regalo, raccontando la sua storia difficile e sofferta, provando anche a capire come ha vissuto davvero, da bambina, in quella famiglia che la rifiutava, oltre le difficoltà della guerra e del distacco da sua madre. Mi scuso se mi sono dilungata o se sono stata caotica, ma è emozionante raccontare finalmente a qualcuno la sua storia…