Tag

, , , , , , , , , , , , , ,

Il reportage di “Inviato Speciale” andato in onda su Radio RAI1 il 14 novembre 2009.

I treni della felicità: salviamo i bambini
di Donatella Gori

Sono tutti bimbi che arrivarono a Voltana con le famiglie che li avevano ospitati. È una foto che hanno fatto quando i bambini stavano per partire. La signora Lorica rigira fra le mani una vecchia foto, di quelle di una volta dove tutti guardano seri verso l’obiettivo. La foto è la storia che stiamo per raccontarvi.
Fu anche per amore dei figli degli altri che, negli anni del dopoguerra, le donne dell’U.D.I. organizzarono assieme ai partiti della sinistra e ai sindacati una vera e propria “migrazione infantile”; dal 1946 al 1952 70.000 bambini del sud lasciarono le loro famiglie per essere ospitati da famiglie della Romagna, Marche, Liguria, Toscana. Erano figli di sfollati cacciati di casa dalla guerra, di contadini che non avevano da sfamarli, figli della miseria, che al nord trovarono altri padri e altre madri pronti ad accoglierli.

Si parla tanto di famiglia: queste sono famiglie allargate, questi bambini non sono stati adottati in senso stretto, in senso legale. Hanno mantenuto tutto l’affetto, l’amore per la famiglia di origine che non era in condizione di mantenerli e hanno aggiunto, a questo affetto, l’affetto delle famiglie che hanno fatto di tutto perché loro potessero vivere meglio.
Giovanni Rinaldi ha raccolto alcune storie di questi bambini in un libro “I treni della felicità“. Così si chiamavano quei convogli speciali che correvano tra due Italie diverse, dal sud al nord, con il loro carico di piccoli viaggiatori in cerca di una vita migliore.
A bordo c’erano le crocerossine per assisterli e la banda a festeggiarli nelle stazioni dove arrivavano. Renzo Morelli vive a Voltana, vicino a Lugo di Romagna, con la moglie Lorica. Ha 83 anni, all’epoca era un dirigente locale del Partito Comunista e fu tra gli organizzatori dei treni che in questo borgo contadino portarono una trentina di bambini del sud. C’era tutto un lavoro da fare per interpellare le famiglie che si pensava fossero più adatte a ospitare questi bambini. Erano prevalentemente famiglie di contadini, ma anche diversi braccianti si resero disponibili per dividere quello che avevano con questi bambini e dare un aiuto a queste famiglie del sud.
Domanda: “Queste famiglie che ospitavano i bambini ricevevano degli aiuti da parte del partito?” Risponde Morelli: “Solo nel caso in cui questi bambini si ammalassero, allora si agiva presso le autorità comunali per farli ricoverare alla svelta. Queste famiglie non l’hanno fatto per avere un vantaggio ma lo hanno fatto per generosità.”
Dina Manaresi è tra quanti diedero prova di generosità. Ha 86 anni e nel 1946 era giovane mamma di due figli di 5 anni e di 2 mesi e viveva con la famiglia di 15 persone in un grande casolare in campagna.
Dina: “Non avevamo niente neanche per noi ma abbiamo accettato, come altre famiglie qui vicino, e ogni famiglia ha preso un bambino”.
A casa di Dina arrivò Alfredo Velocci un ragazzino di 13 anni da Frosinone.
Dina: “Poverino l’abbiamo vestito noi, aveva le scarpe tutte rotte, senza il fondo, gli abbiamo dato delle scarpe dei miei cognati, e poi quando veniva il calzolaio una volta l’anno a casa, gli abbiamo dato le scarpe vecchie e lui con i pezzi di cuoio gli ha fatto un paio di sandalini. Aveste visto come questo bambino si “stimava” con i suoi sandalini nuovi”.
Domanda: “AI nord Alfredo trovò un palo di sandalini e Rosanna De Luca cosa trovò?”
Risponde Rosanna: “Io ho trovato le polpette che non avevo mai mangiato, polpette di carne, ho trovato il bagno caldo, non sapevo cosa fosse il bagno perché eravamo sfollati e poi ho trovato il camino acceso che inizialmente mi terrorizzava perché a noi che venivamo in Alta Italia ci avevano detto che c’erano i comunisti, e i preti ci dicevano che i comunisti ci avrebbero bruciato nel camino. lo avevo solo 4 anni e non sapevo cosa fosse la parola comunista cosa volesse dire”.
Rosanna ha due fratelli che hanno condiviso con lei questa esperienza, Diego fu ospitato dalla famiglia di Armando Scaranna.
Dice Diego: “Anch’io quando sono arrivato lì avevo il terrore dei forni a legna che i contadini accendevano per cuocere il pane, e mi nascondevo. lo per esempio ho cominciato a mangiare la marmellata che non conoscevo, il burro che non avevo mai visto, il pane bianco, e pian pianino ho cominciato a capire che questi non erano mostri ma erano persone che volevano semplicemente aiutarci; per noi, poi, queste famiglie sono diventate la seconda famiglia con la quale ancora oggi io sono in contatto”.

Qui a Voltana a casa di Lorica e Renzo Morelli c’è il camino acceso come il giorno in cui arrivò Rosanna. Lorica aveva 20 anni ed era l’unica superstite di una famiglia sterminata dai fascisti, il padre e due fratelli fucilati come oppositori politici. Lei si salvò rifugiandosi da alcuni parenti e con loro accolse quella bambina che arrivava dalla Ciociaria.
Parla Lorica: “Era piccolina, aveva 4 anni ed era spaventatissima poverina, aveva bisogno di vestiti, ci tenevamo fosse vestita bene che avesse qualche collanina al collo, i nastri in testa, tanti vestiti li ho cuciti io”. Sono passati più di 60 anni, Rosanna si e sposata ed è rimasta a vivere in Romagna ma il primo vestitino nuovo lo ricorda ancora.
Racconta Rosanna: “Era un vestitino verde con la gonna a pieghe e la maglietta, io volevo mettere sempre quel vestito perché mi vedevo bella con quel vestito”.

Anche la signora Dina cuciva í vestiti al piccolo Alfredo: “Gli avevamo fatto delle camicine con delle camicie vecchie, dei calzoncini, lo avevamo vestito e poi voleva sempre il fazzoletto rosso, allora andava il rosso, le bandiere rosse, sa dopo la guerra, lui vedeva le manifestazioni con le persone che avevano il fazzoletto rosso e lui voleva sempre il fazzoletto rosso”.

Sventolavano bandiere rosse fra í contadini che chiedevano pane e lavoro in Puglia nel 1950, una rivolta rievocata da Giovanni Rinaldi nel suo libro” I treni della felicità “perché su quei treni salirono improvvisamente molti bambini pugliesi.

180 persone furono arrestate in Puglia a seguito di quella rivolta e 70 bambini rimasero soli a casa perché avevano arrestato padre e madre. Famiglie marchigiane, di Ancona, famiglie romagnole di Ravenna, di Follonica in Toscana, si offrirono con un sistema semplicemente di passa parola, incontri, riunioni politiche, di ospitare questi bambini figli degli arrestati in attesa che i genitori tornassero a casa dal carcere, pensando che potessero tornare a casa dopo qualche mese. I rivoltosi arrestati, padri e madri, tornarono a casa dopo due anni di carcere tutti assolti. Ai ragazzini che migravano da sud a nord, occorreva molto meno ad ambientarsi in quello che era davvero un altro mondo dove addirittura sentivano parlare una lingua diversa dalla propria come raccontano i fratelli Diego e Rosanna De Luca.

Diego: “Io non li capivo quando parlavano e continuavo a dire NO-NO, ero chiuso e piangevo perché avevamo il terrore di chissà dove eravamo andati a finire: questo è stato l’impatto”. E Rosanna: “C’erano problemi ma io forse ho fatto prima di mio fratello ad imparare non tanto l’italiano ma avevo imparato il dialetto di Voltana”.

A Voltana intanto tutta la comunità aveva imparato ad andare fiera dei suoi bambini del sud e per le donne come Dina Manaresi averne uno in casa era motivo di orgoglio: “Facevamo le riunioni, noi donne ma anche gli uomini, ci trovavamo per parlare di questi bambini, il tuo è buono, il mio è cattivo, il mio mi è scappato… poi tornavano, li andavano a cercare, si sono trovati bene qua da noi e quando sono partiti è stata una tragedia. Il mio bambino piangeva, si era attaccato al collo e mi diceva tienimi con te, mi abbracciava il collo, mi stringeva e io piangevo, lui piangeva, le altre famiglie che avevano i bambini piangevano: alla stazione a Voltana, con tutte le famiglie e i bambini, era una tragedia!”.

Arrivava prima o poi il momento in cui i treni ripartivano verso sud per riportare i figli alle famiglie di origine. Fu Renzo Morelli a riaccompagnare i bambini di Voltana con un treno speciale messo a disposizione dalle FF.SS. attraverso un forte interessamento della Prefettura di Ravenna.     Domandiamo: “Si ricorda quanti bambini c’erano su quel treno?”. Risponde Morelli: “C’erano i bambini di tutta la Provincia quindi bisogna parlare di un centinaio e oltre”.

Con Dina seguiamo il viaggio di ritorno di Alfredo, il ragazzino che aveva accudito. Racconta Dina: “Non voleva andare via. Con le lacrime agli occhi, siamo stati costretti a caricarlo in treno con tutti gli altri bambini. Dopo alcuni giorni ha scritto una lettera di poche righe diceva “Caro babbo io voglio venire da voi, diventare vostro figlio”. Però Alfredo una famiglia l’aveva? Risponde Dina: “Sì sì, lui era andato a casa dalla sua famiglia e dopo è entrato in seminario. Dopo quella lettera che lui aveva scritto e sentito che noi non potevamo prenderlo per sempre, non ha più detto niente, non ha più scritto”. Dopo molti anni arriva una lettera con una foto, la foto di Alfredo che era diventato sacerdote e dava la comunione a suo padre. Sul retro c’è una dedica a Dina datata il 31.10.1960.

Oggi Alfredo è parroco di Veroli nel Lazio, è tornato molte volte dalla famiglia Manaresi e ha celebrato il matrimonio dei due figli di Dina. Il nostro viaggio sui “treni della felicità” termina qui ma per molti dei suoi protagonisti non si è mai concluso. Alcuni bambini, oggi adulti, sono rimasti a vivere nei paesi che li ospitavano, altri tornati nelle loro terre di origine hanno mantenuto il legame con le famiglie che li accolsero, con persone come Renzo, Lorica, Dina, testimoni di un messaggio di solidarietà che va molto più lontano del viaggio di un treno.

(testo tratto dal periodico locale “Partecipare”, Comune di Lugo di Romagna, dicembre 2009, p. 7)