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Recensione di Rosa Rossi

Può capitare che il punto di partenza per parlare di un libro sia un post sulla bacheca Fb dell’autore? A me è capitato con I treni della felicità. Storie di bambini in viaggio tra due Italie (Ediesse 2009) di Giovanni Rinaldi. Il libro era in attesa di lettura già da un po’ sulla mia scrivania, quando, il 29 agosto, mi imbatto in questo post:

Le domande di Francesco, nel bosco.
“Zio, nel libro dei treni, tu hai scritto quello che ti hanno raccontato i vecchietti?
Ma questi vecchietti, allora, erano stati proprio sui treni!
Quando erano bambini, erano saliti sui treni?
E tu sei andato a trovarli?
Dove vivevano, in campagna?
Quando erano bambini avevano paura?
E dopo che i vecchietti ti hanno raccontato le storie, siete diventati amici?
E tutte le parole stanno nel libro.
Io ho visto un film in cui c’era un lupo che mangiava i bambini. Poi lo uccidevano.
Zio, tu sei famoso?”
“Solo per chi mi vuol bene, Francesco”.


Non conosco direttamente l’autore e non conosco il suo nipotino, ma il libro è passato immediatamente in cima alla lista dei libri da leggere.
Le vicende narrate nel libro risalgono agli anni tra il 1945 e il 1952. La ricerca, confluita ne I treni della felicità e nel film documentario Pasta nera di Alessandro Piva (2011), si è svolta tra il 2002 e il 2006, proseguendo fino al 2011 per la realizzazione del documentario. Dunque, ha preso il via a cinquant’anni dall’inizio delle vicende che racconta.a
Ha senso rievocarle oggi, a distanza di altri diciotto anni dall’inizio della ricerca sul campo?
La domanda è legittima. Per rispondere, date alla mano, ritorno ai miei primi anni di bambina degli Anni Cinquanta. Nessun sentore della guerra se non, sul finire di quel decennio, i ricordi che ogni tanto circolavano tra gli adulti sul pericolo rappresentato dalle bombe inesplose. Il ritrovamento e l’esplosione accidentale di queste bombe ogni tanto aveva provocato morti nei dintorni, spesso giovanissimi che si avvicinavano per curiosità, gioco o avventura. Ricordo ancora i luoghi precisi dove questi ordigni, risalenti ai bombardamenti del 1944, colpirono, a guerra ormai conclusa. Immagino che queste conversazioni avessero il preciso scopo di metterci in guardia dal toccare oggetti sospetti durante le scorribande estive.
Per il resto, non rammento conversazioni relative alla guerra e ai suoi risvolti, in presenza dei bambini. Il nonno era persona molto taciturna. Non l’ho sentito parlare né della prima guerra (alla quale aveva partecipato) né, tantomeno, della seconda. Al punto che ho sempre pensato alla guerra come una cosa molto lontana nel tempo. La scuola, in tal senso, non aiutava. Per qualche strano motivo, il programma di storia si fermava sempre agli inizi del Novecento, con qualche vago accenno alla prima guerra mondiale e alle canzoni di guerra (‘il Piave mormorava’ ricorreva tra i testi che ci insegnavano a cantare, insieme all’inno nazionale, a quei tempi).
A dire il vero, non credo che la situazione sia molto cambiata da allora, anzi.
Indubbiamente, fare i conti con il XX secolo è una cosa complicata. In silenzio, senza parere, molti – in primis chi è addetto ai programmi scolastici – pensano sia preferibile ‘bypassare” (ma questa è una questione che merita successivi approfondimenti). Andando avanti con gli anni, ho sviluppato la precisa sensazione di aver vissuto un drammatico errore di prospettiva, probabilmente indotto. La consapevolezza di questo errore comporta il recupero della vicinanza dei fatti e, di pari passo, dell’importanza di riscattarne la memoria. Chissà, forse l’autore, Giovanni Rinaldi, ha vissuto un’esperienza simile e il suo libro è un tributo alla memoria di vicende passate che vale la pena ricordare.
I treni della felicità è molto più di un racconto.
È la ricostruzione di un progetto di solidarietà tra Sud e Nord d’Italia, ideato dalle donne dell’UDI, Unione Donne Italiane (1), il movimento nato tra 1944 e 1945 in supporto alla campagna per il voto alle donne, e volto a dare ospitalità per un periodo più o meno lungo a bambini di varie regioni del meridione in famiglie del centro nord.
È una ricostruzione effettuata attraverso le fonti orali che, opportunamente trascritte, diventano una ‘storia orale’ di interesse storico antropologico e sociale (quella che in inglese si definisce Narrative analysis Narrative inquiry).
I treni della felicità è il lavoro di scrittura, abbinato alle riprese effettuate da Alessandro Piva per il film documentario Pasta nera (prod. Seminal Film – Cinecittà Luce, 2011), in forma di resoconto della ricerca sul campo durata alcuni anni.
L’idea di partenza per la ricerca è quella di ricostruire quanto accadde a San Severo nella primavera del 1950 a seguito di uno sciopero non autorizzato (2), realizzando un documentario per il programma RAI La storia siamo noi. La proposta arriva all’autore dal regista Alessandro Piva che intende affiancare con questo documentario le immagini dedicate ai braccianti agricoli del Sud che Ugo Zatterin (1920 – 2000) girò all’inizio degli Anni Sessanta (3).
Prima di dare inizio a una qualsiasi ricerca sul campo, è necessario reperire informazioni, partendo da testimonianze scritte. L’autore ricorda Il cafone all’inferno di Tommaso Fiore (4)Baroni e contadini di Giovanni Russo (5), soffermandosi in modo particolare su Cari bambini vi aspettiamo con gioia (6) di cui scoprono una copia fotostatica in casa di Severino Cannelonga, a San Severo.
Con questo libro fotocopiato tra le mani, la ricerca entra nel vivo.
I primi contatti portano ad altri contatti. Si organizzano i primi viaggi per incontrare i testimoni e registrare le interviste. Spesso le interviste diventano monologhi. I testimoni, i bambini di allora, ricordano liberamente. Le loro paure di bambini che partivano da condizioni di disagio per essere ospitati in casa di altri, per un periodo variabile di alcuni mesi fino a un anno. La nascita di legami di affetto profondi, ben oltre il periodo di convivenza. La scoperta che i timori iniziali che circolavano insistentemente prima della partenza (quale è la vera meta del viaggio? potrebbe essere la Russia, dove ‘i comunisti mangiano i bambini’: è questo il leit motiv dei ricordi, e dei manifesti elettorali del tempo). Il ritrovarsi con genitori adottivi e fratelli adottivi. I ricordi che permangono a distanza di decenni, spesso scanditi da ritorni con le rispettive famiglie. La scoperta di un mondo ‘altro’, dove si mangia in modo diverso. Anzi, dove, in prima battuta, si mangia. Dove si parla in modo diverso.
È la scoperta che oltre il proprio paese, la propria casa e i campi circostanti, esistono altri mondi.
È la scoperta, con gli occhi di bambini nati agli inizi degli anni ’40, di un’Italia frammentata in tanti mondi diversi per conformazione geofisica, per strutture architettoniche (le case di campagna della Romagna sono diverse da quelle del Basso Lazio o della Puglia), per clima, per lingua, tradizioni, costumi. La ricerca diventa anche occasione di incontri tra protagonisti, un tempo bambini, che non si sono incontrati più e che si riscoprono a distanza di decenni, arricchiti dal bagaglio di una vita.
A conti fatti, è la scoperta che i comunisti non mangiavano i bambini. Anzi, li ospitavano, li rivestivano, li accoglievano come figli (al punto da suscitare gelosia nei figli naturali), piangevano nel momento di lasciarli ripartire, mantenendo nel tempo il legame con loro e con i loro genitori.
È anche la scoperta di una rete di solidarietà umana e sociale che, nei protagonisti, ha avuto un impatto indelebile.
Oggi, a distanza di settanta anni o poco più dall’inizio di quella gara di solidarietà, guardarsi intorno dà molto da pensare.
Dove è finito il senso di solidarietà tra essere umani? Dove è finito il senso di comunanza che ha fatto sì che famiglie poco più avvantaggiate accogliessero i figli di persone meno fortunate, provenienti da terre per certi aspetti più difficili?
I treni della felicità, sicuramente, non è stato il punto di arrivo per l’autore. Chi sviluppa la passione per la storia nella particolare forma della storia orale, non può smettere di cercare storie, di ricostruirle, di tessere una rete di contatti che diviene rete di conoscenze, di affetti, di solidarietà culturale.
Per chi decide di leggerlo può essere il punto di partenza per cercare di rispondere agli interrogativi che la lettura stimola, inevitabilmente, a partire dalla considerazione che avere accantonato l’umanità a tutto vantaggio del benessere individuale, del divertimento fine a se stesso, della noncuranza per l’ambiente dove viviamo (da ospiti, in ultima analisi) sta rendendo molti di noi insensibili, incuranti, insofferenti e, in sostanza, ignoranti.
Un libro come questo è un’occasione da non perdere per ricominciare a studiare il nostro passato recente, per ricostruire le fila di avvenimenti che fanno parte integrante della nostra storia, anche di quelli tra noi che ancora non erano nati. Perché da quei fatti ci separano pochi decenni.
Ma sono decenni fondamentali che abbiamo il dovere di raccontare a figli e nipoti.

POST SCRIPTUM
Mentre mi pongo queste domande, un fatto nuovo mi porta ad alcune riflessioni aggiuntive: un altro post dell’autore, Giovanni Rinaldi, apre uno scenario diverso e apparentemente poco lusinghiero sullo stato dell’editoria e su certe operazioni editoriali. Il post rimanda a un ampio articolo pubblicato nel suo sito (Alle fonti – nascoste? – del romanzo Il treno dei bambini, parte terza giorinaldi.wordpress.com, 29 maggio 2020) e dedicato all’uso “disinvolto” delle fonti nella scrittura in un testo narrativo che si propone di raccontare una storia poco nota, accaduta agli anni dell’immediato dopoguerra. Il titolo è Il treno dei bambini, l’autrice Viola Ardone, l’editore Einaudi (2019). La voce narrante è quella di Amerigo, uno dei bambini ospitati da una famiglia del Nord. Ora, Amerigo è uno dei tanti bambini che riempiono le pagine de I treni della felicità di Giovanni Rinaldi, e la vicenda narrata dall’autrice corrisponde al racconto del bambino di allora, incontrato da Rinaldi, insieme al regista Alessandro Piva, nel corso della ricerca sul campo di ‘fonti orali’, durante il loro lungo lavoro di documentazione. L’articolo è un’analisi minuziosa del rapporto di Viola Ardone con il testo. Non solo, l’analisi di Rinaldi era iniziata in precedenza (cfr. parte seconda e terza, sempre nel blog, 2 gennaio 2020) con lo studio delle corrispondenze tra la narrazione della Ardone e altri testi che lo avevano accompagnato nella ricerca sul campo (di cui c’è ampio e circostanziato riferimento ne I treni della felicità). Nel romanzo di Viola Ardone non compare traccia del debito nei confronti dei testi da cui ha tratto ispirazione fino alla nona ristampa (gennaio del 2020), quando vengono aggiunte due pagine con la bibliografia principale di riferimento (e questo solo nell’edizione italiana).
Ora, in ambito letterario, in prosa come in poesia, aemulatio/imitatio sono concetti fondanti, come ben dovrebbero sapere una docente di italiano e latino e i responsabili della Casa Editrice torinese (l’esperienza poetica di Orazio e Virgilio, la prosa di Livio non esisterebbero senza i ‘modelli’ greci o sarebbero completamente diverse). Ma oggi, a distanza di oltre duemila anni, in un contesto editoriale completamente diverso, ispirarsi a testi precedenti non richiede sin da subito l’accortezza di rendere note le fonti di ispirazione ai lettori per dare il merito a chi, per primo, ha lavorato sul soggetto che ha ispirato il romanzo?

(1) Oggi Unione Donne in Italia.
(2) Nel 1950 il Presidente del Consiglio della neonata repubblica era Alcide De Gasperi (in carica dal 1946 al 1953, nel corso di sette successivi mandati). Il Ministro degli interni Mario Scelba, Ministro dell’agricoltura e delle foreste, Antonio Segni. La questione agraria era una delle questioni da affrontare e risolvere nel panorama della nascente repubblica. A pochi mesi dai fatti di San Severo, fu promulgata la Legge n. 841 del 21 ottobre 1950, Norme per la espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini (nota come Legge stralcio). Un articolo a firma Emilio Romagnoli del 1961 dedicato alla riforma agraria si trova nell’Enciclopedia Italiana Treccani online. Se ne ricava un quadro, seppur parziale, di quanto la questione fosse complicata.
(3)  “Viaggio nell’Italia che cambia” è l’inchiesta che Ugo Zatterin ha realizzato per documentare la trasformazione sociale e culturale dell’Italia tra gli anni ’50 e gli anni ’60. L’inchiesta andò in onda nel 1963 sul Programma Nazionale in 5 puntate.
(4) Il saggio di Tommaso Fiore (Altamura 1884 – Bari 1973), pubblicato nel 1955, è stato recentemente ripubblicato dalla Casa editrice Palomar (2020).

(5) Il saggio di Giovanni Russo (Salerno, 1925 – Roma, 2017) è un classico della letteratura meridionalista, pubblicato originariamente nel 1955 (Laterza, Bari).
(6) Gli autori del testo (Teti editore, 1980) sono Angiola Minella, Nadia Spano, Ferdinando Terranova.

FONTE: pubblicato il 20 settembre 2020 su Infodem.it (Informazione e Democrazia) http://www.infodem.it/iniziative.asp?id=5938

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Il nuovo libro con le storie dei bambini dei “treni della felicità:
Giovanni Rinaldi, C’ero anch’io su quel treno. La vera storia dei bambini che unirono l’Italia, Solferino, 2021