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Come prese avvio il grande movimento che oggi chiamiamo dei “treni della felicità”?
Da una proposta di una insolita compagna: la contessa Daria Malaguzzi Valeri, originaria di Reggio Emilia e moglie del filosofo Antonio Banfi.
Daria Banfi propose a Teresa Noce e Dina Ermini (responsabile e vice della sezione femminile della direzione del Pci delegazione Alta Italia) se, con l’aiuto del partito, potessero essere ospitati in Emilia, per l’inverno, sette o otto bambini orfani e bisognosi del suo quartiere.
Da questa semplice idea nacque un movimento che coinvolse decine di migliaia di famiglie ospitali, di contadini, operai e artigiani, nell’accogliere presso le proprie case (in forma di affidamento temporaneo) bambini bisognosi di ogni parte d’Italia.
Questo il racconto di Dina Ermini:
«Eravamo ai primi d’ottobre del 1945. Una giornata triste, piovigginosa annunciava un altro duro inverno: poco da mangiare, niente riscaldamento, in case per lo più semidiroccate dai bombardamenti. Alla sezione femminile della delegazione venne un mattino a trovarci la compagna Daria Banfi per chiederci se era possibile che, attraverso il partito, venissero ospitati per l’inverno in Emilia, donde lei era originaria, sette o otto bambini orfani del suo quartiere, in stato di estremo bisogno.
Immediatamente Teresa Noce chiese un incontro con il compagno Antonio Roasio, allora dirigente della delegazione Alta Italia della direzione e, meno di un’ora dopo, avevamo ottenuto tutto l’appoggio necessario. Occorreva, per prima cosa, prendere contatto diretto con i compagni emiliani e a me ne fu dato l’incarico. Partii l’indomani stesso, con fiducia ma anche con ansia, utilizzando l’unica macchina di cui disponesse allora la delegazione. Portavo con me una lettera ufficiale diretta alle organizzazioni del partito dell’Emilia-Romagna alle quali si chiedeva un impegno particolare, per una iniziativa che doveva essere attuata con il massimo contributo dei comunisti ma anche nel modo più aperto, possibilmente insieme agli altri partiti del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) e alle organizzazioni di massa. “Il compito che vi sta di fronte”, era scritto nella lettera redatta dallo stesso Roasio a nome della direzione del partito, “è complesso e delicato e richiede una organizzazione perfetta. Non dobbiamo dimenticare quale responsabilità il nostro partito si assume di fronte alle madri che gli dimostrano la loro fiducia affidandogli quanto possiedono di più prezioso: i loro bambini”.
Così, da una proposta semplice, quasi casuale, prese avvio un movimento destinato a crescere, a moltiplicarsi, a rinnovarsi per anni, bel al di là di ogni previsione».
Il movimento “Per la salvezza dei bambini d’Italia”, come verrà poi chiamato nei numerosi comitati organizzatori sparsi per l’Italia, nasce quindi a Milano, dalla fantasia e dalla passione di Teresa Noce, organizzato dalla nascente Unione donne italiane (Udi), erede dei Gruppi di difesa della donna, nati all’interno della lotta partigiana. Non era, del resto, un’assoluta novità, riprendendo l’antica e ripetuta esperienza del solidarismo di classe e del mutuo soccorso.
Meno di due mesi dopo, su “Noi donne” del 15 dicembre 1945, un riquadro annuncia “l’operazione in corso”:
SOLIDARIETA’ POPOLARE
A Torino e a Milano l’U.D.I. ha dato la sua piena partecipazione a un’opera di affettuosa solidarietà popolare promossa dal P.C.I.: l’invio in Emilia, dove sono migliori le condizioni di alimentazione, di abitazione, di riscaldamento, di bimbi poveri di Milano e Torino.
Con l’adesione del C.L.N., del Comune, della Prefettura, della Camera del Lavoro, dell’O.N.M.I. (Opera Nazionale Maternità e Infanzia) e in alcuni luoghi anche del C.I.F. (Centro Italiano Femminile movimento legato alla Democrazia Cristiana), ferve il lavoro per compilare gli elenchi di bimbi particolarmente bisognosi, figli di reduci, di sinistrati, di disoccupati, per dar loro i corredini necessari, per preparare con tutte le opportune garanzie, il loro trasferimento verso le ospitali famiglie che li accoglieranno con affetto.

Il 16 dicembre 1945 parte da Milano il primo treno di bambini per l’Emilia Romagna, diretto a Reggio Emilia. Nelle pagine di “Noi donne, nel primo numero di gennaio 1946, il dettagliato resoconto:
Migliaia di bambini del Nord sono accolti in Emilia
Col pieno ed efficace appoggio dell’UDI
«Arrivederci a primavera!» dicevano i grandi cartelloni affissi nella stazione di Milano. «Arrivederci a primavera!» diceva la folla salutando i piccoli partenti, dicevano le mamme asciugandosi gli occhi. Partivano per Reggio circa 1000 piccoli milanesi, un primo scaglione dei bimbi del Nord (più di tremila) mandati a svernare nell’accogliente Emilia.
Questa magnifica iniziativa, promossa dal Partito Comunista e attuata con la piena adesione dall’UDI e dei vari enti cittadini di Milano, di Torino, ha lo scopo di permettere ai bimbi più bisognosi, ai figli dei partigiani, dei reduci, dei sinistrati, di trascorrere i mesi più difficili dell’inverno in migliori condizioni di riscaldamento e di alimentazione.
In Emilia, si sa, non mancano né il latte, né le uova, né la pizza, né la pasta asciutta. Ma soprattutto non mancano i cuori generosi, le famiglie ospitali, pronte a privarsi un po’, a stringersi un po’ per permettere a un povero bambino di ritrovare un po’ di salute e di gioia intorno a una tavola apparecchiata, attorno a un allegro focolare.
Così si sono moltiplicate le offerte ospitali. Le famiglie hanno specificato di che sesso e che età avrebbero voluto i piccoli invitati. Reggio, con la sua provincia, ha preso i bimbi di Milano, Mantova quelli di Torino. Modena riceverà 1500 bimbi di Roma e altri 1500 bimbi di paesi sinistrati. La gara di solidarietà ha assunto forme commoventi. Una famiglia ha accolto ben 7 bimbi. Alcuni giovani scapoli hanno, secondo la loro espressione, «formato un C.L.N.» per prendersi un bambino. E nessun criterio ristretto ha presieduto all’elenco dei bimbi prescelti: fra i piccoli viaggiatori si contavano anche poveri bimbi, figli di fucilati per delitti fascisti.

Organizzare il trasferimento di tanti bambini non è lieve cosa. E l’organizzazione è stata perfetta, tale da ispirare completa fiducia alle famiglie. Ogni bimbo, rivestito al bisogno e provvisto di numerosi documenti, scheda medica compresa, è stato sottoposto un’accurata visita, anche radiologica, in ambulatori riscaldati. Riscaldati erano pure i treni ad essi riservati, dove prestavano servizio, assieme ai ferrovieri e alle ragazze dell’UDI anche medici ed infermiere. Ogni bimbo ha ricevuto, alla partenza, un cestino di viveri. Sono perfino state stampate apposite cartoline con la scritta «Bene arrivato» per dar modo ai bimbi di mandare regolarmente loro notizie alle famiglie.
I parroci hanno accompagnato anch’essi fino al treno i partenti, che prima di lasciare la città avevano ascoltato, con le loro famiglie, una messa speciale. Il viaggio si è svolto nella massima allegria. A Lodi, a Piacenza, in tanti altri centri, la popolazione ha offerto ai bambini tazze di latte caldo, frutta, dolci. A Reggio Emilia il primo scaglione di bambini ha trovato ad attenderli una folla di centomila persone.
La stazione era decorata di grandi striscioni inneggianti alla solidarietà popolare. Due bimbi di Reggio, vestiti da partigianelli, hanno salutato i loro coetanei gettando loro le braccia al collo.
«Le mamme di Reggio vi abbracciano» stava semplicemente scritto sui grandi torpedoni che mentre già scendeva la notte, aspettavano alla stazione i bambini per portarli alle famiglie in attesa. Ed i 1000 bimbi di Milano avranno trovato quella sera, in una casa nuova l’abbraccio d’un’altra mamma.
(Fonti: Dina Ermini, testimonianza in “Cari bambini vi aspettiamo con gioia…” a cura di A. Minella, N. Spano, F. Terranova, Teti Editore, Milano 1980, pp. 41-42; “Noi donne”, n.6-7, 31 ottobre 1945 e “Noi donne”, n. 10, 1 gennaio 1946 – Noi Donne Archivio Storico on line; foto stazione di Milano 1945 dal web)
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Leggi anche: 16 dicembre 1945: parte il primo treno della felicità di Giovanni Rinaldi (da “Calendario civile” della rivista “Il Mulino”)
Leggi anche, in questo blog, gli altri reportages da “Noi donne” sull’accoglienza familiare dei bambini:
I “bracciantini” (1949, Firenze accoglie i figli dei braccianti emiliani)
1949. 800 bambini campani attraversano l’Italia sul “treno della felicità”
Cinque donne sul Delta… così vi parlano (1951, “in difesa dei bimbi del Delta”)
I bimbi del Polesine (1951, 15.000 famiglie offrono ospitalità ai piccoli alluvionati)
Le donne di San Severo (1952, il reportage di Fausta Terni Cialente)
Le donne di San Severo (1952, il reportage di Maria Antonietta Macciocchi)
I ragazzi di Villa Perla (Genova 1954, il racconto di Maria Antonietta Macciocchi)
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Il libro con le storie dei bambini dei “treni della felicità:
Giovanni Rinaldi, C’ero anch’io su quel treno. La vera storia dei bambini che unirono l’Italia, Solferino, 2021
Questo è un bellissimo messaggio: una idea semplice, il gesto di un singolo, possono moltiplicarsi e diffondersi in modo che il bene diventi grande e comune.
E può moltiplicarsi e diffondersi anche per la disponibilità di altre, altri, ad ascoltare e mettere in pratica quell’idea e quel suggerimento. Dovrebbe essere anche questo il ruolo di una comunità sociale, di un movimento politico. Quella vecchia e obsoleta parola, servizio, “mettersi al servizio degli altri”.
Già … quante parole sono ormai tristemente obsolete causa valori in via di estinzione purtroppo …
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