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accoglienza bambini, alluvione del 1949, Avellino, Benevento, Giorgio Colorni, happiness trains, Ines Pisoni, Noi Donne, povertà, secondo dopoguerra, solidarietà, treni della felicità, Treno speciale, UDI
Il 2 ottobre del 1949 uno scenario apocalittico si presentò agli occhi dei cittadini di Benevento, quando la piena del Calore che ruppe gli argini, inondò il capoluogo sannita e travolse l’antico e imponente Ponte Vanvitelli trasformando il Quartiere Ferrovia in un ammasso di fango separato dalla città. Il bollettino delle vittime fu tragico: 20 morti, 2 mila senza tetto, danni per miliardi di lire. Tutt’intorno un paesaggio melmoso, tra frane, case distrutte, terreni non più coltivabili e disperazione.
Oltre agli immediati aiuti statali economici bisognava provvedere soprattutto all’assistenza immediata delle migliaia di famiglie (e migliaia di bambini) rimaste senza un tetto. L’alluvione non fece altro che peggiorare le già misere condizioni in cui vivevano le famiglie contadine e i braccianti senza terra.
Benevento, 2 ottobre 1949, il Calore travolge il Ponte Vanvitelli
(Fonte: Benevento…c’eraunavolta)Benevento, il paesaggio dopo la piena del Calore
(Fonte: Benevento…c’eraunavolta)
Con più difficoltà degli anni precedenti (dopo il 1948 bisognava fare i conti con l’aperta ostilità del Governo democristiano), l’UDI, l’Unione Donne Italiane, decise di lanciare una campagna per la solidarietà alle popolazioni dei territori alluvionati (oltre Benevento, anche Avellino, Salerno) in due fasi: una di sostegno concreto con l’invio di beni di prima necessità direttamente alle famiglie; poi ripropose l’idea di accogliere nelle famiglie solidali di tutta Italia, per i mesi invernali, i bambini più in difficoltà, quasi abbandonati alla fame e alla mera sopravvivenza.
L’operazione, organizzata nei mesi di ottobre e novembre portò all’organizzazione di un treno speciale che trasportò 800 bambini verso le famiglie di Toscana, Marche, Emilia, Lombardia, Veneto. Partirono macilenti il 19 novembre 1949, tornarono “rinati” il 22 marzo 1950. Quel 22 marzo si svolgeva in tutta Italia lo sciopero generale contro i soprusi e le uccisioni della famigerata “celere di Scelba”.
Il giorno dopo, a San Severo in Puglia, il proseguimento non autorizzato dello sciopero portò alla “rivolta del 23 marzo” che si concluse con l’occupazione militare della cittadina e la carcerazione di 184 persone, braccianti, contadini, perlopiù comunisti, uomini e donne. Molti dei bambini figli degli arrestati rimasero soli nelle case senza genitori. A maggio circa 70 partirono, come i piccoli campani, accompagnati dalle donne dell’UDI, verso le Marche, l’Emilia e la Toscana.
La rivista settimanale “Noi donne” organo dell’UDI, seguiva da vicino questi viaggi di bambini su e giù per l’Italia. Chi organizzava e accompagnava i bambini in questi viaggi, militanti dell’UDI in primis, raccontava contemporaneamente – per il proprio giornale – l’”avventura” vissuta. Negli articoli, firmati da scrittrici, partigiane, militanti del Pci e del sindacato, leggiamo la passione, l’impegno, l’idealità che muoveva uomini e donne ad affrontare questo immane lavoro.
Nei tre articoli che seguono riporto le parole di Ines Pisoni, trentina, partigiana in Romagna, che scese in Campania con tante altre militanti come “accompagnatrice” dei bambini. Insieme a loro c’era anche Giorgio Colorni giovanissimo militante Pci, che racconta la partenza da Avellino e l’arrivo alla stazione centrale di Milano di quello che chiama “il treno della felicità”.
Questi tre articoli (pubblicati da “Noi donne” a novembre e dicembre del 1949 e ad aprile del 1950) raccontano, dall’interno e in sincrono, l’epopea di uno dei tanti viaggi dei “treni della felicita” e credo sia anche letterariamente utile – oltre al loro valore di testimonianza storica – riportarli nella loro interezza e non per frammenti o citazioni.

Novembre 1949
Il treno della solidarietà
di INES PISONI
Avellino, Benevento! Così come durante la Guerra la città di Cassino aveva ad un tratto riassunto nel cuore di tutti gli italiani l’immagine di tutti gli orrori della Guerra, così Avellino e Benevento rappresentano oggi per tutti non solo l’immagine delle distruzioni portate dall’alluvione, ma di tutta la miseria, di tutte le sofferenze in cui vive la gente del meridione.
Di quella miseria, di quelle sofferenze le donne dell’U.D.I. [Unione Donne Italiane, ndr] hanno parlato al loro III Congresso Nazionale. E dalle loro parole è scaturita tutta una fioritura di azioni di solidarietà.
Le donne dell’U.D.I. hanno lavorato a fianco degli altri organismi democratici e soprattutto dell’INCA [Istituto Nazionale Confederale di Assistenza – CGIL, ndr] e della Confederterra. E i frutti di questa loro fatica si sono espressi attraverso lunghe carovane di autocarri che, carichi di ogni cosa che potesse essere utile a gente rimasta senza casa, hanno attraversato tutt’Italia per raggiungere le zone colpite. Ma la realizzazione loro più bella, quella che è più cara al cuore di ognuna di loro è il treno della solidarietà che ha portato il carico più prezioso di tutti e – questa volta – partendo dal sud verso il nord.
Ai lavoratori dell’Italia centrale che hanno mandato – tramite le loro organizzazioni – il loro dono di fraternità, i lavoratori delle zone colpite dall’alluvione, hanno risposto inviando il dono più prezioso che essi possiedono: i loro bambini!
Napoli è diventato per un giorno il grande cuore, il punto d’incontro della generosità di chi offre e della certezza di chi affida. A Napoli infatti il giorno 19 [novembre, ndr] sono affluiti i bambini più poveri delle famiglie colpite dall’alluvione delle zone di Benevento, Avellino e Salerno. Da Napoli nel pomeriggio dello stesso giorno è partito un treno festante con viaggiatori di eccezione. Ottocento bambini, lasciata una casa dove la miseria e il dolore sono compagni d’ogni giorno, han viaggiato su quell treno per raggiungere nel Lazio, nelle Marche, nell’Emilia, nella Lombardia e nel Veneto, altre famiglie dove papà e mamme di altri bambini li hanno accolti come loro figli e li ospiteranno durante tutto l’inverno.
È lungo il nostro treno, è il treno della solidarietà popolare. Ha incominciato a correre sulle strade d’Italia il giorno della liberazione. Continua a correre sul ritmo del cuore di tutto un popolo in cammino verso la sua meta.
(Fonte: “Noi donne”, a. IV, n. 46 del 27 novembre 1949 – Archivio storico online)


Dicembre 1949
IL TRENO della felicità (NOSTRO SERVIZIO DA MILANO)
di GIORGIO COLORNI
Un giorno della fine di ottobre si presentò alla sede dell’UDI di Milano una signora vestita con sobria eleganza: – Mi hanno detto che verranno a Milano dalla Campania dei bimbi di famiglie alluvionate – disse ed aggiunse – potrei averne uno?
La signora sembrava un po’ intimidita, era chiaro che non era abituata ad essere in contatto con organizzazioni o associazioni, forse era la prima volta in vita sua che parlava con donne che non si occupano solo della casa e delle visite alle amiche.
Le dissero che sì, naturalmente, poteva accogliere un bimbo, bastava che riempisse un formulario e fornisse le necessarie garanzie che il bimbo sarebbe stato affidato in buone mani. Arrossì un poco e disse:
– Certamente, da me starà benissimo… – Poi si vedeva che aveva ancora qualcosa da dire ma non sapeva come cominciare, infine si fece coraggio e si decise: – Non sarebbe possibile andarlo a prendere?
La Veronesi, dell’Ufficio assistenza dell’UDI, con cui stava parlando, questa volta si meravigliò un poco e la guardò sorpresa, poi: – Certo, – rispose – noi manderemo delle incaricate a prelevare i bimbi e lei potrà andare con loro. Però, durante il viaggio non potrà curarsi solo di un bambino, gliene verranno affidati dieci o dodici, perché, capirà, non possiamo mandare una assistente per ogni bimbo!
Anche questa volta la cosa parve naturale alla signora, che non formulò alcuna obiezione, solo «chiederò il permesso a mio marito» disse.
Forse la Veronesi non ci credeva molto, ma invece due giorni dopo una telefonata annunciò che il marito aveva dato il permesso. Così la signora Restelli, della media borghesia milanese, moglie di un piccolo industriale, che non aveva mai avuto contatti con partiti e organizzazioni, partì da Milano insieme alle altre donne operaie, mamme del popolo, in terza classe (forse era la prima volta che viaggiava in terza classe) fece il lungo viaggio fino a Napoli e poi ritornò accompagnando i bambini campani.
All’arrivo era stanca. «Non ci sono abituata – disse – ma mi abituerò; ho deciso di iscrivermi anch’io all’UDI, ora che ho visto quale spirito di sacrificio anima queste donne, prima non sapevo che ci fosse qualcosa di simile…».
Questo non è che un episodio nel quadro della grandiosa manifestazione di solidarietà popolare che è stata ed è lo scopo dell’ospitalità offerta nel Nord ai bimbi del Sud.
Eppure mi sembra estremamente importante e significativo perché dice che ai lavoratori, protagonisti e dirigenti di quest’opera, possono unirsi e si uniscono anche gli elementi sani, provenienti da altri ceti sociali. Pochi, forse per ora; ma ciò non ha importanza. Quei bimbi macilenti, le loro case inabitabili, hanno aperto il cuore e gli occhi anche alle signore della borghesia, come quella sopradetta.
Prima essa «non sapeva», e quanti, come lei, non sanno?
Ora quegli 800 bimbi sono qui tra noi, nel Nord, in Toscana, nelle Marche, in Emilia, nel Veneto, trascorreranno l’inverno, potranno recuperare le energie che la denutrizione e la miseria accumulate nei loro corpicini avevano distrutto. In primavera torneranno alle loro case, pieni di salute, rivestiti, ripuliti e le loro madri benediranno «le mamme e i papà di lassù» benediranno la CGIL, l’UDI, l’INCA, la Confederterra che hanno voluto e realizzato il miracolo. Ma noi non possiamo dimenticare le migliaia di bimbi di tre, di quattro anni cui la tisi ha già segnato il destino. Non possiamo dimenticare come erano anche questi 800 così come li abbiamo trovati.
Ricordo venerdì sera ad Avellino, due bimbi appena giunti da Monteverde, un piccolo borgo di braccianti: avrebbero passata la notte in casa di un compagno, per partire poi il mattino seguente insieme agli altri alla volta di Napoli… Con un amico, li portai a mangiare in una trattoria, avevano evidentemente fame, ma erano paralizzati dal fatto nuovo di un piatto pieno davanti a sé, tutto per loro… Forse non ci credevano, temevano che scomparisse a toccarlo, non volevano mangiare. Infine il più grandicello avrà avuto otto anni, si fece coraggio, mangiò un poco di pasciasciutta, imitato dall’altro. Poi si fermarono, ostinatamente muti, con gli occhi bassi, non vollero più nulla, terrorizzati: forse terrorizzati dalla possibilità di mangiare a sazietà o pensando forse che a casa loro, la mamma non aveva nulla da mangiare…
Li rividi poi il giorno seguente, in treno. La paura selvaggia cominciava a scomparire, erano contenti, comprendevano che era tutto proprio vero. Il viaggio li trasformò. Quel treno l’abbiamo chiamato «della felicità». I bimbi li abbiamo visti rivivere sotto i nostri occhi di minuto in minuto. L’assistenza materna delle donne dell’UDI, venute a prenderli da tutte le provincie de Nord, le accoglienze commoventi ricevute in ogni città, vinsero gli ultimi residui di timidezza. E quelli che salutammo alla mensa dei ferrovieri della stazione centrale di Milano erano già dei bimbi «vivi», dei bimbi che giocavano a lanciarsi le posate uno contro l’altro. Ero contento di vederli. Finalmente potevano fare le loro monellerie che tutti i bimbi di questo mondo fanno, perché avevano ancora negli occhi i loro fratellini del «Nuovo ospedale» di Avellino (una costruzione in cui sono rifugiate 180 famiglie di sinistrati) immobili, prostrati sui giacigli sudici, di null’altro malati se non di fame. E pensavo anche che c’è stato chi ha fatto di tutto per impedire questo miracolo, per sabotare quest’iniziativa, chi ha preteso il pagamento di un milione e 800 mila lire di biglietti di viaggio, mentre 800 famiglie di lavoratori, cioè di gente che non ha soldi da buttar via, sono state felici di sacrificarsi per aiutare i loro compagni sventurati. E pensavo che c’è chi ha rifiutato la concessione di un pasto caldo per i bambini al passaggio della stazione di Roma. Questo «chi» è il Governo… e se di molte infamie il popolo italiano chiederà conto un giorno a De Gasperi e ai suoi questa non sarà certo ultima, questa infamia, consumata a spese delle piccole creature indifese.
Giorgio Colorni
(Fonte: “Noi donne”, a. IV, n. 47 del 4 dicembre 1949 – Archivio storico online)

Aprile 1950
IL TRENO della solidarietà
di INES PISONI
L’autunno portava già in sé i rigori di un inverno in cui la miseria sarebbe stata più dura a sopportare, quando il “treno della solidarietà” attraversò tutta l’Italia per portare 800 bambini delle zone alluvionate di Benevento, Salerno, Caserta e Avellino, su verso il Nord dove famiglie di lavoratori li avrebbero accolti e ospitati durante tutto l’inverno. Nel salutarli – noi che all’organizzazione di quel treno avevamo dedicato giorni di gioiosa e trepida fatica, ma che ora di fronte a quei bimbi dal viso patito, dagli occhi già dolorosamente maturi, dai corpi gracili e mal coperti non potevamo vincere il senso profondo di una pena che si ricollegava a tutte le pene nate dalla miseria, noi ci illuminammo di speranza nel dir loro: “Arrivederci a primavera!”.
Fedeli alla promessa come un impegno a cui sia legato il fervore costruttivo della solidarietà popolare, con la primavera i “nostri bambini” sono tornati. Erano le prime ore del giorno 22 marzo quando li andammo ad accogliere alla stazione di Roma. Le pensiline erano gremite di “celerini” mentre fuori la città si destava a protestare con lo sciopero generale contro un governo che aveva risposto con altro sangue alla richiesta di lavoro e di giustizia di tutto un popolo.
Ad ore e da luoghi diversi quattro convogli ce li riportarono. Arrivarono cantando e tanto erano diversi che quasi non credemmo ai nostri occhi. Sui finestrini uno dei tanti striscioni spiegava il miracolo: “La solidarietà popolare ci ha ridato gioia e salute”. Finalmente, quelli che ci stavan davanti eran visi e corpi di bimbi veri: bimbi sani con occhi ridenti in visi paffuti, corpi agili e robusti sotto panni cuciti apposta per loro.
Quando li facemmo scendere dal treno per concentrarsi tutti sul “treno speciale” che li attendeva al binario 22, ci spaventammo della montagna di bagagli che invase in un attimo il marciapiede. Eran partiti senza niente ed ora, ognuno aveva con sé almeno due valige. Non appena un gruppo era sistemato sul treno e stava consumando la colazione calda che l’UDI, la Camera del Lavoro e le Cooperative di Roma avevano offerto, altri bambini arrivavano. Canti e grida di gioia li accoglievano. Alle nove e mezza il lungo treno – undici carrozze – era al completo del suo carico prezioso. Partiti in 800 ora erano più di mille perché altri gruppi li avevano raggiunti durante l’inverno. Ogni tanto i bimbi sospendevano il canto per gridare: Viva la Confederazione del Lavoro! Viva l’UDI! Viva l’INCA! Qualcuno si informava perché mai questa volta Di Vittorio non fosse venuto a salutarli. “Ha altro da fare oggi!” rispondevamo.
Quando alle dieci il “treno della solidarietà” si mosse fra i canti e i saluti festosi dei bimbi, ci ricordammo improvvisamente che quella era appunto l’ora in cui i lavoratori – quelli stessi capaci di compiere simili miracoli di solidarietà verso i meno fortunati fra loro – si riunivano per protestare contro l’ingiustizia e la morte e per rinnovare il loro impegno a camminare verso la giustizia e la vita vera.
C’era sole e chiarità primaverile nell’aria e dentro di noi. Nell’uscir di stazione ci scosse il sibilo delle sirene della “celere” e improvvisamente ci trovammo in mezzo alla mischia. Sulla gente che passava nelle strade, la “celere” stava sfogando la sua furia bestiale. Un attimo di smarrimento ci colse. Ma poi ci guardammo in giro. Era una lotta violenta e brutale quella; ma i visi dei lavoratori avevano la serenità consapevole dei forti. Riandammo col pensiero al lungo treno che correva verso il Sud portando il suo dono di solidarietà al popolo meridionale.
E ripetemmo a noi stessi, assaporandole, alcune parole nuove ed antiche: Popolo, Pace, Giustizia.
Ines Pisoni
(Fonte: “Noi donne”, a. V, n. 15 del 9 aprile 1950 – Archivio storico online)
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Leggi anche in questo blog gli altri reportages da “Noi donne” sull’accoglienza familiare dei bambini:
Migliaia di bimbi del nord sono accolti in Emilia (1945, dicembre)
I “bracciantini” (1949, Firenze accoglie i figli dei braccianti emiliani)
Cinque donne sul Delta… così vi parlano (1951, “in difesa dei bimbi del Delta”)
I bimbi del Polesine (1951, 15.000 famiglie offrono ospitalità ai piccoli alluvionati)
Le donne di San Severo (1952, il reportage di Fausta Terni Cialente)
Le donne di San Severo (1952, il reportage di Maria Antonietta Macciocchi)
I ragazzi di Villa Perla (Genova 1954, il racconto di Maria Antonietta Macciocchi)
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Il libro con le storie dei bambini dei “treni della felicità:
Giovanni Rinaldi, C’ero anch’io su quel treno. La vera storia dei bambini che unirono l’Italia, Solferino, 2021
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