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I treni della felicità
Storie di bambini in viaggio tra due Italie
prefazione di Miriam Mafai
 
Ediesse, Roma 2009, pp. 200 [fuori catalogo]

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Giovanni Rinaldi, tessendo sottili fili di memorie sparse, anni fa si è messo in cerca dei bambini che erano saliti su quelli che vennero definiti «I treni della felicità». Si trattava di una straordinaria rete di solidarietà sostenuta dalla neonata UDI e dal PCI che, a partire dal secondo dopoguerra, affidò per mesi (talvolta anni) a famiglie del Centro Italia oltre 70.000 figli del Sud vittime delle conseguenze belliche, di rivolte operaie sedate col sangue, di calamità naturali. Bambini che lasciarono le loro famiglie per essere ospitati da altrettante famiglie contadine, nei paesi del reggiano, del modenese, del bolognese. Lì vennero rivestiti, mandati a scuola, curati.
Mezzo secolo dopo un cineasta, Alessandro Piva, e uno storico, Giovanni Rinaldi, si mettono sulle tracce dei sopravvissuti. Ne escono fuori due lavori confinanti e di documentazione tra storia di ieri e di oggi, il documentario Pasta nera e questo libro, frutto di appassionati viaggi e ricerche in diverse città del centro Italia.
Scritto in presa diretta, il libro ricostruisce le storie di alcuni di quei bambini che su convogli sparuti arrivarono in un’altra Italia. Soprattutto di quelli rimasti a vivere nelle famiglie che li avevano adottati, scovati dall’autore nel corso dei suoi viaggi ad Ancona, Follonica, Ravenna, Lugo di Romagna. Come i bambini figli degli scioperanti di San Severo, arrestati nel 1950 per insurrezione armata contro i poteri dello Stato, per volontà del governo Scelba. Sono Severino, Americo, Dante, Zazà, che oggi parlano ricordando i fanciulli che furono in un Paese più povero e semplice, dove mangiare un gelato o un piatto di pasta erano cose che potevano emozionare. Ma è anche la storia delle «due Italie» e di un Sud ancora socialmente arretratissimo. Fu proprio questo che spinse alcuni di quei bambini a fare una scelta drammatica: lasciare la propria terra e la propria famiglia, restare dove il destino e quei treni li avevano portati, sognando una vita migliore.
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La prefazione di Miriam Mafai

I «treni della felicità», che salvarono decine di migliaia di bambini e bambine meridionali da un destino di fame, malattia, prostituzione, partirono – nei due inverni dell’immediato dopoguerra – da Napoli, da Cassino, da Roma per arrivare dopo una lunga notte di viaggio a Modena, a Reggio Emilia, a Bologna, dove i bambini erano attesi e presi in consegna da nuove famiglie disposte a sfamarli e curarli.
L’iniziativa era nata a Milano, dalla fantasia e dalla passione di Teresa Noce, una dirigente comunista che dopo aver combattuto in Spagna con le Brigate internazionali ed essere stata internata dai nazisti nel campo di Ravensbrük, era riuscita, subito dopo la Liberazione, a rientrare in Italia. Anche a Milano c’erano bambini che soffrivano la fame. E dunque Teresa Noce chiese ai compagni di Reggio Emilia di ospitarne un certo numero per l’inverno successivo.
La risposta fu al di là di ogni legittima speranza.
Tanto generosa che si decise di estenderla e di radicarla nel Mezzogiorno: a Napoli, la città che era stata semidistrutta dai bombardamenti, a Cassino rasa al suolo durante l’avanzata delle truppe angloamericane, a Roma dove la guerra aveva lasciato una lunga scia di baraccati, di corruzione, di fame. Furono trasferiti così, nei due inverni immediatamente successivi alla fine del conflitto, alcune decine di migliaia di bambini che lasciarono le loro famiglie per essere ospitati da altrettante famiglie contadine, nei paesi del Reggiano, del Modenese, del Bolognese. Lì vennero rivestiti, mandati a scuola, curati.
Maria Antonietta Macciocchi, che fu tra le dirigenti del «Comitato per la salvezza dei bambini di Napoli», racconta le prime inevitabili difficoltà: la diffidenza di molte donne che chiedevano se e quando i loro figli sarebbero tornati («Non li portate mica in Russia, vero?», chiedevano molte, spaventate). E poi, superata la diffidenza, bisognava cercare i medici che avrebbero visitato i bambini, prepararne i documenti, organizzare i treni, rifornire ogni bambino di un cartellino di identificazione e dei viveri per il viaggio, scegliere le persone che avrebbero dovuto accompagnarli e, all’arrivo, consegnarli alle famiglie che li avrebbero ospitati. La stessa iniziativa venne organizzata a Roma l’inverno successivo: anche da qui partirono migliaia di bambini, affamati, storditi e irrequieti, che sarebbero tornati alcuni mesi dopo, più sani, meglio nutriti e più felici.
Nessuno ha mai ricostruito e raccontato compiutamente questa straordinaria vicenda politica e umana, di cui sono state organizzatrici e protagoniste soprattutto le donne, una vicenda che ha consentito un primo incontro, all’insegna della solidarietà, tra il Nord e il Sud.
La storia che ci racconta oggi Giovanni Rinaldi è in qualche modo il seguito di quella iniziativa di solidarietà che era stata organizzata a Roma e Napoli nei due pesanti inverni del dopoguerra. La sua storia ha inizio qualche anno dopo, nella primavera del 1950, a San Severo, provincia di Foggia. San Severo: paese di braccianti affamati e disperati, senza terra e senza lavoro, come tanti altri paesi della zona, da Minervino a Gravina da Andria ad Altamura. Noi non abbiamo più idea, oggi, di cosa fosse la fame, la disperazione, la rabbia di quei braccianti senza lavoro, di quale fosse l’arroganza dei «padroni della terra» e la violenza delle forze di polizia che non esitavano a sparare sui dimostranti. Giovanni Rinaldi parte da quel giorno, era il 23 marzo del 1950, quando «uno sciopero non autorizzato si trasformò in tragedia, e tra “insurrezione” e “risposta alla provocazione” i braccianti si lanciarono senza timore contro le forze di polizia al grido di “Pane e lavoro!”. […] Così, al termine di una giornata convulsa e drammatica, che conterà numerosi feriti e una vittima […], a sedare la rivolta arrivò perfino l’esercito con i carri armati, e occupò la città. Nei giorni immediatamente successivi furono tratte in arresto 180 persone con un pesantissimo capo d’accusa: “Insurrezione armata contro i poteri dello Stato”. Gli stessi furono sottoposti a un lungo e combattuto processo, e soltanto due anni dopo, il 5 aprile 1952, vennero assolti e finalmente scarcerati».
Nel carcere della vicina Lucera finirono donne, giovani, padri e figli, molte coppie di genitori. Chi si sarebbe occupato dei bambini lasciati soli nelle case?
Anche in questo caso scatta, immediato, un movimento di solidarietà. Derna Scandali, una dirigente delle donne comuniste di Ancona, partecipava in quei giorni a un convegno a Roma. Lì un deputato pugliese, probabilmente Luigi Allegato, racconta dello sciopero e degli scontri di San Severo, parla dei bambini lasciati soli. «La sera stessa» – ricorda oggi Derna – «ci siamo riunite e ci siamo chieste che cosa potevamo fare… E abbiamo preso un impegno: una trentina di bambini comunque li potevamo ospitare». E così accadde. Derna racconta come venne organizzato, in quel di Ancona, il movimento di solidarietà, quanti bambini (assai più di una trentina) vennero accolti, ospitati per mesi, curati grazie all’impegno della Camera del lavoro, del circolo dell’ANPI, delle cellule femminili del PCI. E i bambini di San Severo arrivarono, poco dopo, spaventati, affamati, curiosi di tutto. E restarono qui fino a quando i loro genitori, due anni dopo, non furono assolti e scarcerati.
Uno di quei bambini, Americo è rimasto ad Ancona e ricorda ancora oggi l’emozione dell’arrivo, il primo bagno in casa, e il primo gelato. «E chi lo aveva mai assaggiato un gelato! Tanto vero che quando mi hanno dato il cono con la panna, dicevano: “Ti piace?”. Sai che gli ho detto? “Assemigghia a’ recotte, sembra una ricotta”. Perché io mangiavo la ricotta, giù! Non conoscevo i gelati».

Miriam Mafai
20 giugno 2009

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Clicca qui per visitare la pagina ufficiale “I treni della felicità” su Facebook.
Le storie di questo libro, riviste, aggiornate e riscritte, sono confluite (insieme a tutte le nuove storie incontrate nella ricerca 2009-2020) nel nuovo libro di Giovanni Rinaldi:
C’ero anch’io su quel treno. La vera storia dei bambini che unirono l’Italia, Solferino, Milano 2021.
Leggi la presentazione del nuovo libro in questo blog.
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Trains of happiness
Years ago, while weaving thin threads of scattered memories, Giovanni Rinaldi set out to look for the children who had stepped on the so-called “children’s trains” or “trains of happiness”. This was part of an extraordinary network of solidarity supported by the newly formed UDI (Italian Women’s Union) and the PCI (Communist Party) which, starting from the second post-war period, helped over 70,000 children of the South – victims of the war, bloody workers revolts and natural disasters. Children who left their families to be hosted by other farmer families in the villages of Reggio, Modena and Bologna. There they were clothed, sent to school, cared for.
Half a century later filmmaker Alessandro Piva and historian Giovanni Rinaldi, started following the trails of the survivors. Two documentary works emerge from the history of yesterday and today: the documentary Pasta Nera and this book, the outcome of stimulating travels and research in different cities of central Italy.
Written in real time, the book reconstructs the stories of some of those children who, on shabby railway wagons, arrived in a different Italy. There is a particular focus on those who stayed with the families that had adopted them, as discovered by the author during his travels to Ancona, Follonica, Ravenna, Lugo di Romagna. The children of the strikers of San Severo, arrested in 1950 for armed insurrection against the powers of the state by the will of the Scelba government, were among them. They are Severino, Americo, Dante, and Zazà, who speak today recalling their childhood lived in a poorer and simpler country, where eating ice cream or a plate of pasta were new and exciting things to experience. But it is also the story of the “two Italys” and of a South still socially very backward. It was precisely this that led some of those children to make a dramatic choice: to leave their land and their family, and stay where fate and those trains had brought them, dreaming of a better life.
Treinen van geluk
Jaren geleden ging Giovanni Rinaldi, terwijl hij dunne draden van verspreide herinneringen weefde, op zoek naar de kinderen die op de zogenaamde ‘kindertreinen’ of ‘treinen van geluk’ waren gestapt. Dit maakte deel uit van een buitengewoon netwerk van solidariteit dat werd ondersteund door de nieuw gevormde UDI (Italiaanse Vrouwenunie) en de PCI (Communistische Partij), die vanaf de tweede naoorlogse periode meer dan 70.000 kinderen van het Zuiden – oorlogsslachtoffers, bloedige arbeidersopstanden en natuurrampen – hielpen. Het ging om kinderen die hun gezinnen verlieten om te worden opgevangen door andere boerenfamilies in de dorpen rondom Reggio, Modena en Bologna. Daar werden ze gekleed, naar school gestuurd en verzorgd.
Een halve eeuw later volgden filmmaker Alessandro Piva en historicus Giovanni Rinaldi de sporen van de overlevenden. Uit de geschiedenis van gisteren en vandaag komen twee documentaires voort: de documentaire Pasta Nera en dit boek, het resultaat van stimulerende reizen en onderzoek in verschillende steden in Midden-Italië.
Het boek is in realtime geschreven en reconstrueert de verhalen van enkele van die kinderen die met armoedige treinwagons in een ander Italië aankwamen. Er is een bijzondere focus op degenen die bij de families verbleven die ze hadden geadopteerd, zoals de auteur ontdekte tijdens zijn reizen naar Ancona, Follonica, Ravenna en Lugo di Romagna. De kinderen van de stakers van San Severo die in 1950 gearresteerd werden wegens gewapende opstand tegen de macht van de staat door de wil van de Scelba-regering, waren onder hen. Het zijn Severino, Americo, Dante en Zazà, die vandaag spreken en zich herinneren dat ze hun jeugd in een armer en eenvoudiger land leefden, waar het eten van ijs of een bord pasta nieuwe en opwindende dingen waren om te ervaren. Maar het is ook het verhaal van de “twee Italiëen” en van een Zuid dat nog steeds sociaal erg achterhaald is. Precies dit bracht sommige van die kinderen ertoe een dramatische keuze te maken: om hun land en hun gezin te verlaten en te blijven waar het lot en die treinen hen hadden gebracht, dromend over een beter leven.
Les trains du bonheur
Giovanni Rinaldi, tissant de fins fils de souvenirs épars, est parti il y a des années à la recherche des enfants qui étaient montés à bord de ce qu’on appelait alors «les trains du bonheur» (ou ‘les trains des enfants’). Il s’agissait d’un extraordinaire réseau de solidarité soutenu par l’UDI (Union des femmes en Italie) et le PCI (Parti communiste italien) naissants qui, au lendemain de la Seconde Guerre mondiale, a confié pendant des mois (parfois des années) à des familles du centre de l’Italie plus de 70 000 enfants du Sud victimes de la guerre, des révoltes ouvrières, réprimées dans le sang, et des catastrophes naturelles. Des enfants qui ont quitté leur propre famille pour être recueillis par autant de familles paysannes, dans les villes de Reggio d’Émilie, Modène ou Bologne. Là-bas, ils seraient habillés, envoyés à l’école, soignés.
Un demi-siècle plus tard, un cinéaste, Alessandro Piva, et un historien, Giovanni Rinaldi, se sont lancés sur les traces des survivants. En résulte deux ouvrages et une documentation à la frontière entre l’histoire d’hier et d’aujourd’hui, le documentaire Pasta Nera et ce livre, fruit de voyages et de recherches passionnées dans plusieurs villes du centre de l’Italie.
Écrit en temps réel, le livre relate les histoires de quelques-uns de ces enfants qui, partis dans une poignée de wagons, sont arrivés dans une autre Italie. Surtout ceux qui sont restés vivre dans leurs familles d’adoption, découverts par l’auteur lors de ses voyages à Ancône, Follonica, Ravenne, Lugo. Comme les enfants des grévistes de San Severo, arrêtés en 1950 pour insurrection armée contre l’État, sur ordre du gouvernement Scelba. Severino, Americo, Dante et Zazà s’expriment aujourd’hui, évoquant le souvenir d’une enfance vécue dans un pays plus pauvre et plus simple, où manger une glace ou une assiette de pâtes était une expérience réjouissante. Mais c’est aussi l’histoire de «deux Italies» et d’un Sud encore socialement à la traîne. C’est précisément ce qui a poussé certains de ces enfants à faire un choix dramatique : quitter leur terre et leur famille, et rester là où le destin et ces trains les avaient emmenés, dans l’espoir d’une vie meilleure.
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